«Israele non si rende conto degli enormi prezzi politici e diplomatici dopo ogni sua nuova “bravata”. O forse si rende perfettamente conto, ma non gli interessa più di tanto». Per Amine Kammourieh, editorialista del quotidiano libanese
an-Nahar, questa è la principale spiegazione logica dopo le ripetute azioni azzardate di questi anni. Che elenca: «La guerra dell’estate 206 contro Hezbollah è costata il rapporto della Commissione Winograd che ha messo in cattiva luce il suo esercito; l’operazione Piombo Fuso contro Gaza ha portato al Rapporto Goldstone, l’assassinio del leader di Hamas Mabhouh a Dubai ha svelato la sua scortesia con i Paesi amici di cui aveva falsificato i passaporti; il proseguimento della colonizzazione ha deteriorato i suoi rapporti con Washington. Insomma, è una palla di neve che rischia di diventare una vera e propria valanga dopo il blitz alla flotta degli aiuti e la conseguente crisi con la Turchia».
I rapporti bilaterali tra Israele e Turchia già da tempo avevano cominciato a incrinarsi. Lo scontro Erdogan-Peres a Davos e la dura protesta turca all’umiliazione del suo ambasciatore a Tel Aviv sono episodi presenti…Sì, ma Israele contava sempre sul sostegno dei laici turchi e dell’establishment militare. Si badava, nonostante tutto, a non tagliare i ponti con lo Stato ebraico, anche per motivo dei tanti interessi comuni, economici e militari. Ora, invece, c’è il rischio di inimicarsi il generali turchi. L’esercito turco mai accetterà che l’onore del Paese sia calpestato in questo modo. Non dico che l’ultima bravata capovolgerà la situazione attuale, ma rappresenterà comunque un inizio di ripensamento dei vecchi rapporti.
Con quali conseguenze per Israele?Il danno è incalcolabile. Basta pensare che, mezzo secolo fa, Israele considerava Iran e Turchia come un cerchio vitale che si stringe attorno ai nemici arabi che lo accerchiano. Con la rivoluzione contro lo scià, Israele ha perso l’Iran, e ora rischia di perdere anche il secondo.
Il rinnovato coinvolgimento turco negli affari arabi intende controbilanciare l’influenza iraniana oppure si inserisce in un altro contesto?Iran e Turchia non sono mai stati così vicini. Non dimentichiamo che è stata l’iniziativa turca sul trasferimento dell’uranio – giudicata quasi alla stregua di un tradimento da parte di Washington – a ritardare e complicare l’azione degli Usa per il varo delle sanzioni contro Teheran. Devo dire che ogni Paese rispetta per ora gli interessi regionali dell’altro. Anzi, il ruolo turco ha portato gli iraniani a una maggiore ponderatezza. È emblematico tuttavia notare che mentre la Turchia si erge a paladina dei diritti arabi, l’Egitto consacra la sua uscita.
Che cosa intende dire?Che il blocco marittimo israeliano contro Gaza si vuole così intransigente per non mettere in imbarazzo l’Egitto, garante invece del blocco terrestre. L’inviato di Mubarak ha chiesto di recente agli israeliani di rispedire indietro tutte le navi che avrebbero tentato di forzare il blocco per evitare che l’Egitto apparisse come l’unico responsabile dell’assedio.
Il blitz compatterà, secondo lei, il fronte palestinese interno che non è stato mai così diviso?Dubito fortemente. Lo strappo profondo tra i due governi palestinesi andrà avanti ancora e questo rappresenta la vera tragedia. L’unica mia consolazione, come cittadino arabo, è che questo disumano strangolamento di Gaza è finito per soffocare lo stesso Israele e non è più chiaro chi sta assediando chi.