Seul. La Sud Corea sceglierà un presidente «avatar»
L’«avatar» di Lee Jae-myung, 57 anni, è il candidato del Partito democratico in Corea del Sud
In Corea del Sud è iniziata una campagna elettorale che rischia di essere l’ennesima prova della crisi profonda che attraversano le vecchie e nuove democrazie. Nonostante l’emergenza sanitaria – pericolosamente aggravatasi in questi ultimi giorni (oltre 80mila contagi, ieri) dopo che il Paese era stato tra quelli che più efficacemente l’aveva tenuta sotto controllo, senza imporre alcun lockdown – e la crisi economica, sociale e culturale in cui versa la nazione, sembra che la politica non interessi più ai cittadini.
Lo dicono i sondaggi sulle presidenziali del 9 marzo, che parlano di oltre un terzo degli elettori ancora indecisi (tra i giovani, la percentuale supera il 50%) e lo conferma il dibattito – si fa per dire perché di contenuti e di «programmi» si parla poco, prevale l’insulto reciproco – tra i candidati. Quattro in tutto, di cui due, quello del Partito del popolo (attualmente all’opposizione) Yoon Seok-youl e quello del Partito democratico Lee Jaemyung (attualmente al governo) sono i favoriti per la vittoria finale e vengono accredi- tati, negli ultimi sondaggi del 39% circa dei consensi. Entrambi non hanno mai seduto in Parlamento, entrambi sono stati indagati (uno, Lee, ancora lo è) per vari reati finanziari e sospetta corruzione, entrambi sembrano cavalcare l’ondata di riflusso «antifemminista» che ha colpito negli ultimi anni la società coreana.
Ma soprattutto, entrambi hanno affidato a “spinner” senza scrupoli la gestione di una campagna elettorale che si annuncia particolarmente povera di contenuti, populista e aggressiva, senza esclusione di colpi e condotta con ogni mezzo. Compresi gli “avatar”. Indietro nei primi sondaggi, il candidato dell’opposizione, Yoon Seok-youl, un ex procuratore generale che l’attuale presidente Moon Jae-in aveva nominato all’inizio del suo mandato per «spazzare via la corruzione» ma che poi si è dimesso denunciando le pressioni del governo e del partito al potere affinché ai loro uomini venisse riservato un trattamento privilegiato, ha accettato l’idea del suo team (diretto da un guru dei videogiochi ed esperto di intelligenza artificiale) e ha dato il via libera ad «AI Yoon». Un avatar che oltre a togliergli una ventina d’anni, dice cose che il vero Yoon sicuramente pensa ma che non potrebbe mai dire in pubblico, men che meno nel corso di una campagna elettorale.
Ma soprattutto, cose che alla gente piace sentire, un po’ alla Trump, per intenderci: populismo d’osteria, muso duro in politica estera con chiunque (Cina, Giappone e ovviamente il regime del Nord), grande attenzione per la new economy e occhiolino strizzato nei confronti dei cosiddetti «cripto-elettori», i giovani che hanno rinunciato a comprarsi una casa e metter su famiglia e che investono i loro soldi in Borsa e nelle criptovalute. Pare siano oltre 5 milioni ed il loro voto potrebbe essere decisivo. Di qui la promessa di liberalizzare ulteriormente – in netta controtendenza con altri Paesi – un settore che in Corea come altrove ha già prodotto molti danni.
L’idea dell’avatar, che appare un po’ dappertutto, in tv, su megaschermi nelle strade, e in spot che spopolano sui cellulari, ha funzionato alla grande, facendogli raggiungere e superare in pochi giorni il suo rivale democratico, che aveva impostato la campagna in modo più tradizionale e che fino ad un mese fa aveva oltre 10 punti di vantaggio. Al punto che lo stesso Lee, dopo aver duramente criticato l’iniziativa, definendola «decadente e depravata», e giungendo a citare nel corso di un dibattito il famoso testo di Daniel Ziblatt e Steve Levitsky sulla morte della democrazia («How Democracies Die») ha finito per copiarlo. Da un paio di giorni è infatti spuntato fuori anche il suo avatar, che però non è aggressivo, spaccone e volgare come quello di Yoon: piuttosto lo ridicolizza e invita la gente a tornare con i piedi per terra: «Ascoltate i veri leader, non i pupazzi come me».
«La domanda stavolta non è chi vincerà le elezioni – scrive nel suo blog Gi Wook Shin, docente di storia contemporanea coreana presso la Stanford University – ma lo stato di grave “depressione” in cui versa la nostra democrazia. Ed il rischio che il Paese, dopo essersi liberato dei militari e dei dittatori, precipiti in una nuova forma di autoritarismo popu-lista ». Se la politica viene delegata agli avatar il rischio c’è.