Per molte di loro, varcare la soglia di una classe e tenere una matita in mano resterà un sogno. Sono milioni le bambine africane e asiatiche che rischiano di scivolare per sempre nel pozzo scuro dell’analfabetismo. Eppure, l’istruzione primaria per tutti resta uno degli 'obiettivi del Millennio' da raggiungere entro il 2015. Un altro traguardo eleborato a tavolino che si scontra con i dati di realtà. Ufficialmente, i governi aumentano spesso la spesa nell’istruzione. E i centri missionari, accanto alle iniziative di certe ong internazionali, cercano di portare penne e quaderni fin nelle zone rurali più inaccessibili. Persino in quelle campagne etiopi dove ancora neppure 5 bambini su 100 finiscono le elementari. Ma per le bambine gli ostacoli da superare possono restare lo stesso troppi. Le aule non sono sempre vicine alle comunità. Oppure mancano le condizioni di sicurezza minime lungo il percorso, soprattutto in quei Paesi appena usciti da conflitti o ancora in stato di guerra latente. A volte le scuole ci sono, ma mancano di servizi igienici separati o di acqua corrente. E anche quando tutti questi ostacoli sono stati superati, davanti alle bambine può aprirsi la voragine dell’emarginazione rispetto ai coetanei maschi. Gli stessi manuali promuovono ancora in molti Paesi un’immagine femminile distorta o sminuita. E talora insegnanti succubi di pregiudizi atavici relegano le ragazzine agli ultimi banchi. Le lezioni di matematica e di scienze, in particolare, possono trasformarsi così in un’autentica apartheid: le alunne alzano la mano per intervenire, ma nessuno permette loro di aprire bocca. Quando le popolazioni entrano nel mirino del fondamentalismo, come in vaste regioni del Pakistan e dell’Afghanistan, gli ostacoli culturali invisibili si trasformano per le bambine in un vero e proprio muro. Le scuole per ragazze chiudono o sono tenute sotto costante assedio. E in molte città, non saranno i governi a poter imporre il contrario. Lo scorso novembre, 15 adolescenti si recavano a scuola a Kandahar, l’ex quartier generale dei talebani. Un commando a bordo di moto ha strappato loro il burqa, spruzzando poi acido sui volti. Si tratta di blitz mostruosi che finiscono sempre per seminare nuovo panico in intere città. Nella valle di Swat, in quel Pakistan nordoccidentale oggi sotto il giogo talebano, il 2008 si è chiuso con l’ultimatum lanciato dai luogotenenti del mullah Fazlullah: chiudere le scuole femminili entro il 15 gennaio. Le famiglie di quarantamila bambine e adolescenti hanno dovuto scegliere fra sottomissione ed esilio. Nei Paesi africani ancora infestati da miliziani, dalla Costa d’Avorio alla Repubblica Democratica del Congo, per tante bambine andare a scuola può coincidere con un rischio altissimo di cadere nell’ennesimo agguato sessuale. E quando non è il terrore a bruciare la strada verso l’aula agognata, l’orco di turno può essere semplicemente la miseria. Per tante bambine può spalancarsi presto la strada dei lavori nei campi per portare sostegno spesso a genitori o parenti malati di una delle pandemie che infuriano nel continente. E la spirale della miseria, magari sotto forma di una nuova carestia, può risucchiare anche chi la soglia scolastica l’aveva già varcata, magari per un intero anno o due. Così in molti Paesi del Sahel le ragazze sono costrette molto più dei maschi ad interrompere anche dei brillanti inizi nel mondo della scrittura e della lettura. Nei Paesi sviluppati della scuola per tutti o quasi, come in Europa, le ragazze ottengono risultati migliori dei ragazzi e restano in media fra i banchi di scuola per 16 anni, ovvero un anno in più dei coetanei. Nell’Africa subsahariana, quando una ragazza riesce a cominciare, il capolinea giunge in media dopo 8 anni, uno in meno dei coetanei. Certi dati, fra l’altro, sarebbero viziati da lacune e talora da falsificazioni governative. In generale, il popolo oppresso dei bambini lontani dalle scuole parla per il 70 per cento al femminile. Eppure, nonostante lo scenario generale ancora fosco, si aprono in molti Paesi sprazzi di positività e non mancano esempi virtuosi (ne parliamo anche negli articoli qui sotto). In Uganda lo Stato si prende in carico le spese scolastiche di tutti gli orfani e di 4 figli per famiglia. In Ghana e in Indonesia, la scuola è divenuta obbligatoria fino all’età di 10 anni. In Mauritania si moltiplicano le aule nelle zone rurali. Nel popoloso Stato indiano dell’Uttar Pradesh, poi, le bambine ricevono borse di studio e pasti gratuiti. E nel non lontano Bangladesh l’obiettivo della parità fra bambini e bambine è stato raggiunto in pochi anni. Fra i segreti di questo successo esemplare, anche il programma food for education: le famiglie più povere ricevono ogni mese 15 chili di frumento o 12 di riso se un bambino viene scolarizzato. In molte parti del mondo in via di sviluppo, di fatto, il primo catenaccio della scuola è nascosto negli stomaci vuoti. Bambini a scuola nello slum di Kibera, in Kenya