È una sorta di compendio del magistero del Papa sui temi ambientali, quello che Benedetto XVI ha detto domenica dopo l’Angelus. Un compendio, sottolinea monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, che «in poche righe spiega la specificità della posizione del Santo Padre e della Chiesa sulle questioni che verranno trattate a Copenaghen». Monsignor Migliore sarà nella capitale danese a partire da lunedì prossimo, per guidare la delegazione vaticana alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ma intanto, al telefono da New York, commenta per
Avvenire le parole del Pontefice.
In che cosa consiste la specificità alla quale lei si riferisce?Soprattutto il vocabolario usato dal Papa. Benedetto XVI non parla di ambiente, ma di creato, non usa il verbo difendere, ma salvaguardare. E mette l’accento sulla «dimensione morale della vita umana». Le differenze sono sostanziali rispetto a certi movimenti ecologisti.
In che senso?Parlare di
creazione pone la questione nella giusta prospettiva, poiché ricorda a tutti che l’ambiente è un dono di Dio. Dunque non si tratta di difenderlo da un nemico, in molti casi identificato con l’uomo, ma di salvaguardarlo così come Dio stesso ha voluto quando ha affidato proprio all’uomo questo compito. E qui, infatti, il Santo Padre richiama la dimensione morale dell’agire umano nei confronti del creato.
Benedetto XVI parla anche di un possibile collegamento tra sviluppo e rispetto della creazione. Dunque queste due esigenze non sono di per sé antitetiche.Direi proprio di no. Anzi è lo sviluppo che ci aiuta a contenere i fenomeni climatici. Pianificare investimenti ecologici sottraendo fondi allo sviluppo significa probabilmente non favorire né la salvaguardia del creato, né lo sviluppo stesso. A tutto svantaggio dei poveri e delle generazioni future che sono invece centrali nel discorso del Papa.
E questo, concretamente, in relazione ai cambiamenti climatici, come si coniuga?Il clima sulla terra cambia da millenni. E da sempre gli uomini, gli animali e le piante hanno dovuto adattarsi. Lo sviluppo serve proprio a questo. Ad esempio a far sì che nelle zone di siccità possano essere realizzate opere di canalizzazione dell’acqua. O che in quelle che subiscono frequenti inondazioni, la forza degli elementi non provochi danni eccessivi. Anche la tecnica di costruzione delle case può aiutare a creare ambienti isolati dal freddo o dal caldo, in modo da non dover consumare grandi quantità di energia per questi fini. Sviluppo e salvaguardia del creato non sono nemici, ma anzi grandi alleati.
Da Copenaghen che cosa è lecito attendersi?Probabilmente si arriverà a un accordo politico di base per il futuro. Personalmente sarei contento se dai lavori emergesse la convinzione che queste non sono solo questioni tecniche. Riduciamo di un tot per cento l’emissione di gas serra, stabiliamo gli investimenti e chi li paga e va bene così. Occorre invece puntare di più sulla dimensione morale, coinvolgendo non solo i tecnici, ma gli stili di vita di tutti. Prendersi cura delle foreste, della qualità dell’aria e dell’acqua, costruire abitazioni compatibili e non solo speculare sull’edilizia. Insomma creare una cultura dell’ambiente.
Il magistero «verde» di Benedetto XVI aiuterà in questo senso?Me lo auguro. In effetti molti sostengono che egli sia un «Papa verde». Una definizione che trovo un po’ riduttiva. Ciò che sta a cuore al Santo Padre e alla Chiesa è fornire motivazioni alla politica, perché le decisioni tecniche siano ispirate proprio ad una accresciuta cultura del rispetto e della promozione del creato.