Riforme di facciata. Arabia Saudita, ora le donne possono guidare
Una donna saudita testa un’automobile prima dell’acquisto in uno showroom della capitale Riad. Dal 24 giugno le donne saudite possono guidare automobili, camion e motociclette (Ansa)
Occhi puntati sull’Arabia Saudita, dove da oggi anche le donne possono guidare l’automobile, in quello che era l’unico Paese al mondo con un divieto del genere. Una decisione per nulla scontata, arrivata a nove mesi dal decreto reale, firmato lo scorso settembre da re Salman (82 anni), ma soprattutto dopo anni di battaglie da parte di organizzazioni per i diritti umani e di singoli attivisti locali. Un’apertura della società saudita, che comunque rimane ancora regolamentata dal wahhabismo, la versione ultraconservatrice dell’islam sunnita che impone una rigida separazione tra i sessi.
Consentire alle donne di guidare le automobili, ma anche tir e moto, è un’iniziativa che si presta a molte letture, a cominciare da chi l’ha promossa. Gli analisti vedono dietro la firma del decreto reale la mano del giovane erede al trono Mohammed bin Salman (MbS, 33 anni ad agosto), che proprio il 21 giugno ha celebrato un anno dalla designazione a successore del padre. Per lui sono stati mesi, anche prima di diventare erede al trono, di grande attivismo tra diplomazia e guerra, aperture e repressione.
La fine di questo divieto è, innanzitutto, una sua vittoria di immagine, da mostrare in particolare all’estero quale segno concreto della volontà di costruire una società più moderna, come lui stesso promesso al mondo. Un’apertura che si inquadra nel progetto Vision 2030, dallo stesso MbS lanciato nell’aprile 2016, il cui obiettivo è cambiare l’economia e la società attraverso una serie di riforme, compresa la fine della dipendenza dal petrolio, che per decenni ha mantenuto (e ancora continua a farlo) il regno del Golfo.
Le riforme sociali proposte da MbS seguono la storica decisione di consentire alle donne di votare ed essere votate (anche in questo caso l’Arabia Saudita era l’unico Paese al mondo con un divieto del genere), così come accaduto nelle municipali del dicembre 2015. MbS, sfruttando l’influenza sul padre sovrano, ha proposto una serie di aperture: dall’accesso femminile agli stadi alla prima settimana della moda, comprese molte opportunità lavorative, da chef negli alberghi a guide turistiche. Secondo molti analisti sono più iniziative di facciata, come il caso delle sfilate, a porte chiuse per il solo pubblico femminile e senza telecamere e fotografi. Ma quello che viene studiato con maggior interesse è l’accentramento di poteri del giovane erede al trono.
Nel marzo 2015, quando Salman era sul trono da soli due mesi, è stato proprio MbS a lanciare la campagna militare della coalizione araba a guida saudita contro i ribelli sciiti Houthi nello Yemen. Un’impresa più volte definita fallimentare, che non ha portato ad alcun risultato se non quello di centinaia di vittime civili e migliaia di profughi, con una crisi umanitaria tra le peggiori al mondo. Altra iniziativa accompagnata da molte perplessità è il boicottaggio contro il Qatar, arrivato il 5 giugno dell’anno scorso poche settimane prima di diventare erede al trono, accusato di sostenere l’Iran, capofila dei paesi sciiti. Ma la decisione più clamorosa è stato l’arresto, il 5 novembre, di centinaia tra membri della famiglia reale, funzionari pubblici, imprenditori, politici, tutti accusati di corruzione: un modo per far fuori ogni possibile rivale, così è stato letto il durissimo giro di vite. Tra loro c’era il principe Alwaleed Bin Talal (62 anni), fino ad allora uomo più ricco dell’Arabia Saudita. Per riottenere la libertà i fermati hanno dovuto versare nelle casse del regno centinaia di milioni di dollari. Scelte che hanno portato l’Arabia Saudita a diventare ancora di più uno stretto alleato degli Stati Uniti, soprattutto per l’opposizione all’Iran che caratterizza il mandato del presidente americano Donald Trump. Una posizione che, per un incrocio di interessi, pone molto vicina Riad a Israele.
Se oggi le donne saudite possono guidare è grazie alle campagne di sensibilizzazione lanciate da tanti attivisti, alcuni dei quali arrestati proprio lo scorso mese. Tra loro anche Eman al Nafjan e Lujain al Hathloul, che nel 2016 hanno firmato per porre fine al ruolo del "guardiano" (un membro maschile della famiglia senza il cui permesso alle donne sono ancora vietate molte attività). Il loro fermo ha suscitato indignazione e, nonostante siano poi state liberate, ha mostrato al mondo quanto ancora quanto sia lungo il cammino della democrazia nell’Arabia Saudita di MbS.