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Indonesia. La promessa di Casa Alma ai disabili: neanche lo tsunami-Covid ci fermerà

Luca Geronico mercoledì 23 dicembre 2020

I ragazzi di Casa Alma in festa per la giornata del disabile

«Con i 35 ragazzi che con le loro diverse abilità vivono con noi, in queste settimane ci siamo concentrati sui loro progetti individuali. Siamo riusciti a fare molta fisioterapia» spiega suor Shinta Dei, la superiora delle suore Alma a Nias. Sull’isola, poco più di 600mila abitanti in maggioranza protestanti e cattolici di fronte alla costa occidentale di Sumatra, “Casa Alma” è praticamente l’unica possibilità di cura per chi in famiglia ha un figlio disabile.

I 'ragazzi' sono i 35 ospiti che, assieme alla piccola comunità di suore indonesiame, abitano nelle quattro casette circondate da un giardino e costruite – grazie anche al contributo di Caritas Italiana – poco dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004 e l’ancora più disastroso terremoto che il 28 marzo 2005 distrusse tre quarti degli edifici. «Con altri abbiamo fatto molta terapia occupazionale sul vestirsi, sul tenere sistemata le camere, sull’aiuto alla comunità. Certo non poter uscire di casa è stato per alcuni difficilissimo. Abbiamo un giardino, ma questi bambini vogliono muoversi, eravamo abituati a correre giù in spiaggia e ad andare a fare le gite, ad andare a fare il bagno. Ora non si può», prosegue suor Shinta.

Anche nel gigantesco arcipelago indonesiano – 270 milioni di abitanti, di cui 230 milioni sono musulmani – marzo e aprile sono stati mesi di lockdown duro. Con 643mila casi di Covid- 19 accertati e oltre 19mila morti, l’Indonesia è lo Stato più colpito del Sudest asiatico, sebbene in una situazione non paragonabile a quella dell’Europa e dell’Italia. Tuttavia la mancanza di adeguati strumenti diagnostici e le vacanze di fine anno hanno suggerito severe misure di contenimento e di limitazione degli spostamenti. Anche nell’isola di Nias, dove i primi contagi sono giunti attraverso lavoratori di rientro da Giacarta o da qualche altra grande città, i casi accertati sono circa mille. Ma la paura è tale da paralizzare gran parte delle attività assistenziali oltre che le normali attività scolastiche.

Suor Shinta durante una visita a domicilio - .

Ovviamente anche a Casa Alma dove ogni suora accudisce una decina di bambini: disabili gravi, denutriti o semplicemente orfani abbandonati: «Noi abbiamo più di una quindicina di ragazzi che vanno a scuola che è chiusa dallo scorso marzo e che ha dato i compiti a casa – spiega sempre la direttrice di Casa Alma, suor Shinta –. Seguirli tutti insieme è stato complicato: ve lo lascio immaginare. Loro erano tutti contenti di fare le lezioni in “Zoom”, ma abbiamo fatto i salti mortali per farci prestare o regalare computer usati o vecchi telefoni. E anche la connessione era un problema, ma ora grazie ad alcuni amici della comunità siamo riusciti a migliorarla, almeno un po’».

Ma il disagio più grande, ora come ora, è per le circa 70 famiglie raggiunte ordinariamente dal programma Cbr, Community based rehabilitation. «Quando iniziammo il programma più di 10 anni fa, era abituale trovare dei bambini disabili abbandonati in uno stanzino, o peggio, assieme agli animali domestici », ricorda Matteo Amigoni, operatore di Caritas Italiana. Per questo la riabilitazione non può che essere su base comunitaria coinvolgendo, non solo la fa- miglia del disabile, ma tutto il vicinato. Il progetto, in collaborazione con la locale Caritas Sibolga, è nato grazie alle segnalazioni dei parroci e dei catechisti: dove c’era un dolore da noscondere, una sofferenza di cui vergognarsi, sono arrivati le suore Alma a prendere i primi contatti. Poi, dopo una valutazione specialistica del caso, con visite settimanali o quindicina-li, si impostava un programma di fisioterapia da insegnare alla famiglia.

Le successive visite servivano a monitorare i progressi nella fisioterapia oppure, in altri casi, a lavorare insieme ai ragazzi per insegnare a leggere e scrivere oppure a ricevere nozioni base di matematica o di lingua inglese, come anche svolgere piccoli lavori manuali. E ogni uscita, dopo aver favorito la nascita di alcuni orti comunitari, era pure l’occasione per preparare insieme alla famiglia ospitante, ai vicini e ai volontari un pranzo equilibrato, per divulgare alcune nozioni per una dieta sana come anche per condividere informazioni sulla disabilità e l’inclusione, evitando così atteggiamenti di segregazione. Visite sospese per i due mesi di lockdown e ora molto diradate con evidenti ricadute sulla salute dei disabili e sulle loro famiglie. «Noi dobbiamo continuare ad aiutare i nostri ragazzi, non possiamo fermarci – afferma suor Shinta –. Per molto tempo non abbiamo potuto muoverci per andare a fare le nostre visite alle famiglie, che sono più di 70. Dopo, per quanto possibile abbiamo fatto formazione sul virus per l’utilizzo delle mascherine, per la pulizia delle mani e per il distanziamento fisico».

E ci sarebbe molto ancora da fare a Nias: le richieste di aiuto sono sempre più numerose delle capacità di Casa Alma, ma un nuovo lockdown o una seconda ondata potrebbero ricacciare 70 ragazzi e le loro famiglie nello stanzino dei dimenticati durante lo “tsunami” del Covid.