Santo Sepolcro. La porzione di roccia che accolse Gesù
L'interno della basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme Est (Ansa)
In questi giorni resta chiuso a Gerusalemme il Santo Sepolcro.
Al Santo Sepolcro i visitatori di oggi si trovano dinanzi a un edificio abbastanza enigmatico, nel quadrante nordoccidentale della Città Vecchia di Gerusalemme. La basilica venne fondata nel IV secolo per volontà di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel luogo nel quale – secondo la nota leggenda fissata alla fine del Duecento da Giacomo da Varazze nella Legenda aurea – avrebbe miracolosamente ritrovato la collinetta del Calvario, la grotta del Sepolcro e la Croce.
L’edificio costantiniano, a cinque navate, aveva la forma “ravennate” tipica delle chiese paleocristiane. A ovest di essa, dietro l’abside, un portico-giardino (detto “Paradiso”) la poneva in comunicazione con una costruzione cilindro-troncoconica in qualche modo arieggiante nella forma e nelle dimensioni il pantheon di Roma: il centro di quella “rotonda”, come i pellegrini presero presto a chiamarla, era costituita dalla porzione di roccia all’interno della quale era stata scavata la camera sepolcrale che aveva accolto Gesù dopo la morte. Quello era, propriamente, il Santo Sepolcro.
La basilica rimase intatta fino al 614, allorché un’incursione di persiani la distrusse. Recuperata nel 630 e subito restaurata, non subì alcun danno dalla conquista di Gerusalemme da parte degli arabi musulmani guidati dal califfo Omar, il quale rispettò le chiese cristiane ma fondò, nel quadrante sudorientale di Gerusalemme, due moschee installate proprio al centro dell’acropoli sulla quale Salomone aveva fondato il suo Tempio: i bellissimi edifici si possono ancora ammirare dall’esterno per quanto ormai, dopo la seconda intifada, l’accesso ad esse da parte dei non musulmani non sia più agibile. A distruggerla totalmente, dalle fondamenta, fu invece nel 1009 l’imam sciito-ismailita d’Egitto, il fatimide al-Hakim. Ma gli imam egiziani suoi successori, e poi i califfi abbasidi sunniti di Baghdad, consentirono la riedificazione della basilica e della “rotonda” le quali, sorte a nuova vita grazie soprattutto ai fondi elargiti dall’imperatore di Costantinopoli, dovettero la loro fase riorganizzativa al patriarca greco-ortodosso Modesto. Alla fine di quello stesso secolo (1099) Gerusalemme fu conquistata alla fine di un singolare e ancor oggi poco spiegabile “pellegrinaggio armato” che noi siamo abituati a chiamare “prima crociata”. I “crociati” fondarono a Gerusalemme una monarchia feudale. Durante quel regno, tra 1099 e 1187, la basilica del Santo Sepolcro venne restaurata in forme romanico-gotiche assumendo grosso modo quella che ancor oggi ammiriamo.
Nel 1187 i “franchi” vennero cacciati dalla Città Santa: la governarono prima gli ayyubidi del Cairo fino a metà del XIII secolo, poi i mamelucchi d’Egitto fino al 1516, infine gli ottomani di Istanbul fino al 1918.
Gli europei occidentali provarono a organizzare fra XIII e XV secolo varie crociate per riappropriarsi di Gerusalemme, ma invano. Tuttavia, i pellegrini cristiani, sia pure soggetti ad alcune tasse anche gravose e a qualche angheria, continuarono a visitare il Santo Sepolcro e, grazie ai buoni uffici congiunti del sultano del Cairo e del suo alleato il re angioino di Napoli, poterono giungere anche frati francescani che ottennero per sé un piccolo convento sulla cima del Monte Sion, dando vita alla gloriosa istituzione della Custodia francescana di Terra Santa. Solo più tardi fu possibile rifondare stabilmente un patriarcato latino di Gerusalemme (1847), che si affiancò ad analoghe istituzioni ortodosse e protestanti. I sultani d’Istanbul notarono subito, per la verità, che la coesistenza tra i cristiani in Gerusalemme non era ideale.
Nella chiesa della Resurrezione la necessità che ciascuna comunità cristiana vi fosse rappresentata ed avesse per sé almeno una cappella con altare comportava incidenti continui, spesso risolte in risse violente. Per ovviare a ciò, il sultano concesse nel 1594 a due famiglie musulmane il privilegio di presidiare la basilica e di mantenervi anche con le armi l’ordine. I militi della polizia israeliana – tutti appartenenti a famiglie israeliane musulmane – che ancor oggi costituiscono il “corpo di guardia” all’entrata della basilica ne sono gli eredi, e difatti, nei giorni di festa, vestono ancora con grande solennità e severità i loro antichi abiti ottomani con tanto di splendide scimitarre al fianco.
In realtà, il sultano si guardò bene dal limitarsi a questi provvedimenti pittoreschi.
Nel 1757 un decreto stabilì quali fossero i Luoghi Santi cristiani assegnati a ciascuna confessione: i favoriti furono evidentemente gli ortodossi, in quanto erano evidentemente sudditi di Istanbul. Caduto nel 1918 il sultanato, furono le potenze che amministravano l’area per conto della Società delle Nazioni a garantire l’osservanza dello status quo; dal 1948 al 1964 la Città Vecchia di Gerusalemme fu annessa al regno di Giordania, che rispettò i termini del vecchio accordo; sostanzialmente lo stesso è accaduto dal 1967 in poi, da quando cioè l’autorità israeliana si è unilateralmente impadronita dell’area. I rapporti fra il governo israeliano e le comunità cristiane si sono da allora mantenuti sostanzialmente corretti, ma forse la recentissima esternazione del presidente Trump, che contraddice alla risoluzione delle Nazioni Unite secondo al quale Israele dovrebbe rientrare nei suoi confini precedenti il giugno del 1967, ha determinato una svolta.