Mondo

Reportage. Kensington, la periferia Usa dimenticata dal sogno americano

Angela Napoletano, Kensington (Pennsylvania) sabato 2 novembre 2024

Uno scatto a un comizio elettorale di Donald Trump

Può non bastare. Donald Trump e Kamala Harris stanno facendo carte false per conquistare la Pennsylvania. In questo Stato-chiave ci sono, tuttavia, realtà che la campagna si limita appena a sfiorare. A Kensington, a nord di Filadelfia e vicino al confine con il New Jersey, i volantini dei candidati alla Casa Bianca sono quasi una rarità. Qualcuno si scorge solo nella spazzatura che giace sull’asfalto inzuppato di urina insieme alle siringhe usate. In questa città di uomini-zombie nascosti all’ombra della ferrovia sopraelevata per “farsi” di eroina, fentanyl e xylazina in pieno giorno pare che non ci sia alcuna contesa elettorale da vincere: la politica, qui, è stata da tempo messa al tappeto dalla disperazione.

Il declino di Kensington è cominciato negli anni ‘60 con la chiusura delle fabbriche tessili che per generazioni avevano dato lavoro a immigrati tedeschi e irlandesi. I magazzini abbandonati e le case con le porte murate raccontano visivamente, ancora oggi, la fuga degli operai costretti a lasciare quella sponda del fiume Delaware per cercare fortuna altrove. È tra i ruderi di quella realtà un tempo gloriosa che negli anni a seguire ha preso piede lo spaccio forsennato. La cittadina è diventata un hub a cielo aperto di droghe di ogni tipo: piazza milionaria per i trafficanti di oppiacei, meta ambita dei tossicodipendenti di tutta la costa orientale degli Stati Uniti. Il mercato, “noto” per la purezza della sua eroina, ha esposto l’area a ondate di violenza endemica.

Il bilancio delle vittime da arma da fuoco, anche nei suoi periodi peggiori, qui, non ha tuttavia mai eguagliato quello dei morti per overdose. A ricordarlo è un memoriale all’incrocio tra Somerset Street e Frankford Avenue: croci fissate nel terreno di aiuole allestite come tombe su cui vengono lasciati crescere pomodori. Kensington è carcasse di auto e minibus dati alle fiamme e mai rimosse, appartamenti con buste di plastica al posto dei vetri delle finestre, scarpe appese ai cavi dell’elettricità. È il ferramenta ambulante organizzato nel retro di un camioncino di English muffin, parcheggiato all’angolo di Ruan Street, da cui una ragazza ha appena comprato un cacciavite: i contanti con cui l’ha pagato li ha tirati fuori dal reggiseno. È il “parco del buco”, Womrath, che fa da casa ai disperati senza coscienza che ciondolano da una panchina all’altra o che scavano buche in modo compulsivo. È la normalità apparente delle famiglie, principalmente di origine domenicana e portoricana, che gli vivono accanto: l’anziano in stampelle che tiene sulle spalle il vicino intento a cambiare una lampadina; i bambini travestiti da scheletri, mostri e fantasmi che, a loro modo, festeggiano Halloween senza rendersi conto dell’inferno, reale, che li circonda.

È difficile descrivere il consenso elettorale di una comunità che conta ufficialmente 42mila abitanti e chissà quanti invisibili. Secondo alcune statistiche qui, nel 2020, il democratico Joe Biden stravinse su Trump ma incassò meno voti del previsto. Il tycoon repubblicano, nel piccolo di una percentuale che non arrivava al 30%, aveva però raddoppiato il numero dei consensi rispetto a quelli intercettati quattro anni prima nella stessa zona 2016. Gli esperti segnalarono, allora, che le crepe lì registrate dal partito degli asinelli erano il risultato di una campagna elettorale pressoché inesistente. La caccia al voto nella periferia del sogno americano, quest’anno, la stanno tentando i sindacati. I volontari in maglietta rossa di “Unite” provano a farsi aprire qualche porta ma l’impresa, raccontano, è difficile. Qualche speranza in più di dialogo ce l’ha invece Teamsters che, a differenza di Unite, ha un ufficio proprio in zona. La vetrina al civico 4345 di Frankford Avenue allestita con i poster blu “Harris-Walz”, qui, è l’unico visibile baluardo di politica democratica. A gestirlo è Rocky Bryan, presidente della sezione 929, che da vent’anni cura gli interessi dei lavoratori iscritti, in prevalenza, magazzinieri e camionisti.

A livello nazionale, Teamsters, che negli Stati Uniti conta 1,4 milioni di associati, ha deciso di non dare indicazioni di voto lasciando alle realtà territoriali la libertà di fare campagna per Harris o per Trump. Bryan, di origini irlandesi, ha deciso di non tradire la vocazione democratica del suo mondo ma ammette: «Sì, qualcuno dei nostri voterà a destra». La realtà tremenda che si consuma fuori dal suo ufficio pare non turbarlo più di tanto: «È così in ogni grande città degli Stati Uniti. A Kensington siamo pure fortunati perché, di tanto in tanto, puliscono le strade per renderle decenti». Il suo unico obiettivo è fare in modo che alla Casa Bianca arrivi qualcuno che non spezzi le gambe ai sindacati perché, soprattutto nelle realtà difficili, non c’è speranza di un futuro migliore «senza la libertà di organizzarsi». La sala riunioni in arredamento anni ’50 che, ogni ultima domenica del mese, chiama a raccolta gli iscritti di zona offre un podio e un microfono a chiunque, sullo sfondo della bandiera americana, voglia dire la sua su pensioni, paghe, straordinari, orari di lavoro: la vita e la voglia di fare che l’anima triste di Kensington, Pennsylvania, implora.