Kabul. La narco-economia dell'Emirato: business dell'oppio e ricatto all'Occidente
Coltivazioni di papavero da oppio in Afghanistan
È una superficie immensa: 224mila ettari tappezzati di oppio, con terreni coltivati in aumento del 37% nel giro di un anno. L’Af-ghanistan è tornato ad essere un narco-Stato, soprattutto nelle aree del sud e dell’ovest, che producono il 71% dell’oppio nazionale. C’è un dato preoccupante: il numero delle province in cui la coltivazione della droga era stata eradicata è in calo. Ne rimangono libere solo 12.
Perché la droga ha ripreso quota? Primo: per l’instabilità e per i conflitti politici; secondo: per le siccità dirompenti e per le inondazioni stagionali ricorrenti; terzo: per la diminuzione dei finanziamenti internazionali e per il taglio delle altre offerte di lavoro. La tendenza volgerà al peggio con l’ascesa dell’Emirato islamico, che perderà gli aiuti del Fondo monetario e della Banca mondiale. La coltivazione dell’oppio esploderà perché i motori strutturali della narco-economia saranno galvanizzati dai conflitti armati latenti, dall’amministrazione fragile e dalla povertà generalizzata. Sia nelle campagne, sia nelle città di confine, la coltivazione del papavero è un’ancora di salvezza imprescindibile per gli afghani, travolti da una crisi umanitaria senza precedenti.
Quest’anno, l’inclemenza del clima, siccitoso, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei generi alimentari. Il quadro sanitario è stato compromesso dalla pandemia di Covid-19. Nel 2001, poco prima di essere defenestrati dagli americani, i taleban avevano proibito le droghe. Si guarderanno bene dal reiterare lo stesso errore, pena l’inimicizia del mondo contadino e la rinuncia a un mercato che frutta 2 miliardi di dollari l’anno circa.
L’eroina afghana, che da sola vale il 90% della produzione mondiale, genera il 10% della ricchezza nazionale afghana. Sostenta fra i 4 e i 5 milioni di abitanti, su una popolazione totale che non arriva a 40 milioni. Non è un caso che i taleban, nella loro offensiva folgorante, si siano concentrati innanzitutto sulle città di frontiera. Le rotte commerciali della droga sono ora tutte in mano loro. Sulla carta, l’Afghanistan ha un forziere da 1.000 miliardi di dollari, ma senza stabilità geopolitica e senza un’amministrazione efficiente sarà impossibile schiuderlo. I taleban sono fragili economicamente: hanno sempre praticato i canali dell’illegalità, dal narcotraffico al contrabbando di minerali estratti clandestinamente, dall’imposizione di tasse estorsive alla raccolta di fondi di dubbia provenienza dagli emirati del Golfo.
Per far funzionare l’Emirato islamico, pagare gli stipendi dei dipendenti e dei miliziani, sostenere i circuiti economici, mantenere le reti stradali e gli ospedali avranno bisogno di un bilancio di 10 miliardi di dollari l’anno. Fino a poco tempo fa, l’80% del budget afghano era garantito dai prestiti e dai fondi internazionali. Ora gli studenti coranici hanno un potere di ricatto enorme sulla comunità internazionale. Se non riprenderanno gli aiuti degli istituti finanziari mondiali e non saranno sbloccati gli asset afghani legali, congelati nelle banche estere, gli studenti coranici non muoveranno un dito per riconvertire l’economia del Paese. Un circolo vizioso molto pericoloso per tutti.