Maxi-operazione. Liberate nelle Filippine tremila persone ridotte in schiavitù
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I commando della polizia filippina hanno fermato una tratta di essere umani e sgominato un’organizzazione dedita alla criminalità informatica: in totale sono quasi tremila i lavoratori coatti liberati. Un traffico gestito da oltre 1.500 cittadini filippini, mentre gli altri protagonisti del traffico erano di origine cinese, vietnamita e di una quindicina di altre provenienze tra cui pachistani, yemeniti, somali e sudanesi.
Il blitz nella notte di martedì in sette edifici a Las Piñas, una delle municipalità dell’area metropolitana di Manila, ha confermato le dimensioni di una rete di organizzazioni criminose che hanno fatto dell’arcipelago la loro base dedicandosi al recupero di informazioni, a frodi, abusi e sfruttamento sessuale, bullismo, furti di identità. Tutte attività che nel mondo alimentano un giro d’affari valutato in quasi 10mila miliardi e in Asia ha le principali “centrali” nelle Filippine ma anche in Cambogia e in Myanmar con un ruolo determinante dal punto di vista organizzativo di gruppi malavitosi cinesi. Proprio nell’arcipelago erano stati individuati, fermati e espulsi nel 2019 oltre 500 cittadini cinesi, gestori e manovalanza di un business informatico illegale. Successivamente il reclutamento ha interessato anche altre nazionalità: migliaia di individui di varia provenienza perlopiù “reclutati” in Paesi del Sud-Est asiatico, con conoscenza della lingua inglese, e convinti a recarsi nelle Filippine con l’offerta di gestione di spazi pubblicitari online per poi ritrovarsi detenuti e impiegati in attività criminali e minacciati di essere ceduti a altre organizzazioni malavitose in caso di rifiuto delle condizioni imposte.
Ad attivare l’operazione di polizia è anche la pressione di diverse diplomazie, soprattutto quella indonesiana la cui denuncia ha portato a maggio a salvare altri 1.400 stranieri con un’azione che aveva interessato un complesso residenziale nella città di Mabalacat, a Nord della capitale. Allora le vittime avevano testimoniato di essere state private dei passaporti e costrette a lavorare fino a 18 ore al giorno per contattare potenziali e ignari clienti in Europa, Stati Uniti e Canada, pena pesanti tagli dei compensi e l’obbligo di restare nell’area di lavoro e pernottarvi anche alla fine dei turni.