LA STORIA. La marcia di padre Halim staffetta della carità
Per due anni padre Halim è stato l’intermediario tra i benefattori della Custodia e i frati siriani. Ha portato soldi, medicine, viveri. «Quando avevo la possibilità, arrivavo alla frontiera siriana, e lì mi aspettavano persone di fiducia che mi garantivano la sicurezza del passaggio. Ma una volta in Siria, dovevo stare molto attento». Alcune zone del Paese sono off limits anche per lui. «Da quasi due anni non posso andare nell’Oronte, e ad Aleppo, è troppo pericoloso. Da un anno non ho più notizie dei frati che vivono lì. In quei conventi manca acqua, elettricità e il telefono, le uniche notizie che mi arrivano sono di alcuni amici siriani fidati che riescono in qualche modo a portare loro qualche soldo e dei viveri». E nonostante tutto continua l’opera di una decina i frati rimasti ad Aleppo, nel convento di Sant’Antonio di Padova, ad Azizieh, dove sopravvive la parrocchia latina sotto la responsabilità di padre Georges. E poi a Damasco, al memoriale San Paolo e a Salhieh, poco vicino.
Le case francescane di Lattakiah, a Kanyeh, vicino al Libano, completano la mappa di questa oasi di carità. Ogni convento ospita circa 100 famiglie, fornisce mense e medicinali per migliaia di persone, a volte paga l’affitto di casa a chi non ha più mezzi. Padre Halim ha assistito anche a casi di conversione forzata. Ai cristiani rapiti viene data una scelta: «O ti converti all’islam, o lasci il Paese. Molti li ritroviamo in Libano, perché hanno preferito lasciare la casa e tutto quello che avevano piuttosto che rinnegare la propria fede». Aalla rivolta i cristiani non piacciono. Gli insorti, in particolare le frange jihadiste, sognano la nuova Siria senza di loro. I religiosi francescani se n’erano già accorti quando avevano ammazzato padre Mourad, qualche mese fa.
La più recente conferma è il caso di Maalula, luogo simbolo della cristianità ostaggio dei jihadisti. «Ai frati è chiesta la testimonianza fino al martirio, lo sanno», dice consapevole Halim. Ma rimangono lì, fedeli alla vocazione francescana di aiutare tutti. «Se i frati decidessero di andare via, per i cristiani sarebbe un duro colpo. Non avrebbero più un punto di riferimento ». E vivere in quella terra, che è la loro terra, è segno di speranza per tutti. «Se i frati continuano a stare lì, allora anche tutte le persone aiutate – e sono tante – continueranno a vivere con loro. Perché quando questa guerra inutile sarà finita, allora tutti dovranno rimboccarsi le maniche per ricostruire il Paese devastato». Il custode, padre Pizzaballa, intervenendo nei giorni scorsi ha dichiarato: «La questione siriana è delicatissima e i civili sono inermi davanti alla ferocia di quanto sta accadendo; la preghiera è uno strumento indispensabile ma è urgente sostenere la popolazione, sfiancata dal massacro». È possibile aiutare la Custodia in Siria tramite la Ong Ats Pro Terra Sancta.