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Lo scenario. La «lunga mano» dell'Iran sull'America

Francesco Palmas domenica 5 gennaio 2020

I militari Usa sono in stato di allerta: marine di guardia sulla torretta dell’amba-sciata nella Zona verde a Baghdad

«Abbiamo nel mirino 35 installazioni vitali americane in Medio Oriente. Anche Tel Aviv è a portata dei nostri missili ». Non lascia adito a dubbi la minaccia del generale iraniano Gholamali Abuhamzeh, uno dei comandanti della Guardie rivoluzionarie. Teheran ha solo l’imbarazzo della scelta. Deve solo decidere tempi e luoghi della rappresaglia contro il raid statunitense che ha ucciso il generale Qassem Soleimani. I fronti più caldi sono in Iraq, a Hormuz e a ridosso di Israele.

Un’insurrezione in Iraq?
Il territorio iracheno si presta benissimo alle operazioni simmetriche e asimmetriche dell’Iran. Teheran ha rifornito di missili e razzi le Forze di mobilitazione popolare (le stesse dell’assedio all’ambasciata Usa). Come se non bastasse le decine di installazioni americane in Iraq, fra il Kurdistan e Baghdad, sono a portata di tiro dei missili a medio raggio iraniani. I pasdaran possono fomentare rivolte popolari contro la presenza americana in Iraq e ordire attentati esplosivi. Durante la seconda guerra del Golfo hanno orchestrato non meno di un migliaio di operazioni anti-americane, portando alla morte di oltre 600 militari Usa.

Colpire Hormuz?
Lo Stretto di Hormuz, grande crocevia del petrolio, è quanto mai affollato. Quasi una polveriera pronta a esplo- dere. La marina dei pasdaran è espressamente addestrata a guerreggiarvi. In meno di un giorno, può esplodere 300 missili terra-mare. Dalle fortificazioni fra Jask e Chabahar può bersagliare obiettivi situati fra 120 e 400 chilometri, compreso il quartier generale della quinta flotta Usa, a Manama, in Bahrein. L’Iran punterebbe a saturare le contromisure di alcuni obiettivi chiave: portaerei, portaelicotteri, rifornitori e navi da trasporto truppe americane. Gli ancoraggi sauditi ed emiratini sarebbero bombardati con missili balistici terra-terra Shahab 1 e 2. Nel complesso è una strategia che mira a federare mezzi di ogni tipo: navi, missili terrestri, razzi costieri e forze aeree: su questo si addestrano da anni con maniovre navali e di terra.

Israele nel mirino?
Israele è in cima alla lista degli obiettivi iraniani. Teheran può colpire direttamente e indirettamente il Paese. Primo: ha i missili Shabab 3 capaci di raggiungere il nord e il centro di Israele, insieme ai Sejil 2. Secondo: può mobilitare i suoi accoliti libanesi e palestinesi. «Esiste una probabilità crescente che il prossimo conflitto avvenga su più fronti simultaneamente», ammoniva pochi anni fa il piano difensivo israeliano Halamish. Lo spettro di uno strangolamento è oggi più che mai incarnato dalla triplice minaccia dell’Iran, di Hezbollah e delle milizie sciite fra il Libano e il Golan, la Siria e l’Iraq, le fazioni palestinesi di Gaza, e la destabilizzazione del Sinai egiziano.

Un’operazione speciale?
Nel mosaico di opzioni in mano iraniana, non meno decisivo può essere l’apporto delle forze speciali: le Sepah al-Quds, dipendenti direttamente dall’intelligence dei pasdaran e abbastanza numerose da formare due brigate di 5-6mila uomini. Equipaggiati con armi moderne, gli uomini delle forze speciali iraniane si addestrano alla guerriglia urbana ed extraurbana tanto in patria, quanto in Libano. Se richiesti, sono pronti a scatenare quasi ovunque operazioni insurrezionali e terroristiche, grazie a reti clandestine oliate da decenni di guerre segrete. Hanno messo lo zampino in molti conflitti dell’ultimo trentennio: nei Balcani bosniaci e nel Darfur, in Iraq e in Afghanistan, in Palestina e in Libano, apportando un quid pluris ai guerriglieri dell’internazionale jihadista.

Le cellule clandestine
Funzionari occidentali, diplomatici statunitensi e militari sono nel mirino dell’intelligence iraniana. I Guardiani della rivoluzione hanno legami cosmopoliti, articolati in un duplice comitato: uno informativo e l’altro operativo, braccio armato di innumerevoli omicidi politici. Hanno cellule dormienti in Europa, Sudamerica, nei Paesi del Levante e in quelli del Golfo, spesso coperti dalla Mezzaluna Rossa e dalle fondazioni. Pur completamente autonomi, gli 007 militari si servono delle stesse coperture della Vevak civile. Hanno personale infiltrato un po’ ovunque: nell’agenzia di stampa Irna come nell’Irib radiotelevisiva, nelle associazioni culturali e caritative, nelle aziende e nelle ambasciate, diffuse in oltre 100 Paesi. Vienna è un osservatorio privilegiato, forse per le riunioni dell’Aiea e dell’Opec. Da qui possono essere mobilitati gli agenti sotto copertura, con piani per colpire in Occidente gli interessi di Israele e Usa.