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Siria e Iraq. La lotta al Daesh è costata 1.257 «danni collaterali»

Paolo M. Alfieri sabato 30 marzo 2019

A i tempi della guerra del Golfo e successivamente in quella in Iraq gli americani li definivano - con termine che voleva essere asettico, ma risultò agli occhi del mondo fin troppo cinico – «danni collaterali». In linguaggio militare sono le vittime «accidentali », quelle rimaste uccise durante un attacco deliberato contro un obiettivo «legittimo».

Ma sono padri, madri, figli, persone con un nome e un cognome che la guerra, riempiendo il suo lessico di eufemismi, ha sempre cercato di ridurre a conseguenze e numeri «accettabili». Ieri la Coalizione anti-Daesh ha diffuso i dati relativi all’operazione Inherent Resolve in Iraq e Siria contro gli uomini del Califfato: sono 1.257 i civili «involontariamente uccisi » durante gli attacchi, un dato che peraltro potrebbe essere anche sottostimato.

Sul suo sito la Coalizione ha parlato di 34.038 attacchi condotto tra l’agosto 2014 e il febbraio 2019. Restano ancora da valutare, sottolinea la Coalizione, 141 rapporti aperti e 6 nuovi resoconti, per avere il numero complessivo delle vittime civili. «Dall’inizio delle operazioni nel 2014 – si legge in una nota –, la Coalizione e le forze associate hanno liberato quasi 110mila chilometri quadrati dal Daesh, eliminando il Califfato territoriale auto-proclamato e liberando 7,7 milioni di persone dall’oppressione.

La Coalizione continuerà a collaborare con le forze partner per negare a Daesh ogni spazio fisico e influenza nella regione e le risorse di cui ha bisogno per risorgere». Appena una settimana fa le forze curdo-siriane e quelle americane hanno celebrato nell’est della Siria la vittoria militare contro il Daesh, mettendo fine a una guerra durata più di cinque anni, costata la vita a decine di migliaia di civili e miliziani e che ha causato un vero e proprio esodo di persone tra Siria e Iraq.

Ma il Daesh non è sconfitto come forza di insurrezione nella valle dell’Eufrate, hanno ribadito tutti i comandanti curdi che si sono alternati sul «palco della vittoria», allestito un mese fa nel compound del campo petrolifero di al-Omar, saldamente controllato dagli Usa e dall’ala siriana del Pkk. «Comincia ora una nuova fase della lotta al terrorismo», ha detto in quell’occasione il generale Mazlum Kobane, a capo delle Forze democratiche siriane, gruppo guidato dai curdi e finanziato dagli Stati Uniti.

Cellule del Daesh «sono ancora attive e costituiscono un grande pericolo nella regione», ha aggiunto. Solo nell’offensiva lanciata lo scorso 10 settembre dalle Forze democratiche siriane (Fds) per riconquistare Baghuz, ultima roccaforte del Daesh nella Siria nordorientale, sono più di 630 i civili uccisi. Ci si interroga intanto sulla sorte del «Califfo » Abu Bakr al-Baghdadi, l’uomo più ricercato del pianeta. E degli ostaggi occidentali, tra cui padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria nel 2013 e di cui si era parlato un mese fa come possibile «ostaggio» del Daesh a Baghuz.