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Per la canzone «1944» sulla Crimea. La guerra Russia-Ucraina continua in Eurovisione

ANGELA CALVINI martedì 17 maggio 2016
La guerra fredda corre sulle note del pop. Tutto per una canzone dai contenuti anti-russi dell’ucraina Jamala che ha fatto irruzione sul palco della Globe Arena di Stoccolma, vincendo a sorpresa l’Eurovision Song Contest sabato scorso. Perdipiù bruciando, in un testa a testa all’ultimo voto, la vittoria annunciata dell’idolo russo Sergeij Lazarev. Una vittoria “politica' per «1944», un brano sulle deportazioni di massa dei tatari di Crimea, ordinate da Stalin durante la Seconda Guerra mondiale, che i russi hanno vissuto come una critica alla recente annessione della penisola. «Se il festival non fosse stato politicizzato» avrebbe vinto la Russia, attacca Konstantin Kosaciov, presidente della Commissione affari esteri del Senato di Mosca, mentre già c’è chi parla di boicottare la prossima edizione dell’Eurovision che si svolgerà in Ucraina. Dall’altro lato c’è invece chi, come il deputato della Verkhovna Rada, Anton Gerashchenko, ha avvertito che il prossimo anno al concorso potranno partecipare solo quegli gli artisti i quali «ritengono un crimine la presa della Crimea e l’occupazione di parte del Donbas (regioni dell’Ucraina orientale) e che non offendono la dignità nazionale dell’Ucraina». Insomma, il concorso musicale più popolare del mondo, rischia di fare la fine delle Olimpiadi “mutilate” degli anni 80 a causa delle tensioni Usa-Urss. Comunque sia, «1944» è un brano struggente, scritto e magnificamente interpretato dall’artista (vero nome Susana Jamadilova) ispirato a una tragedia che ha toccato anche la nonna della cantante, deportata con cinque figli piccoli mentre il marito era al fronte. Ben 200mila persone (i tatari vennero accusati di appoggiare il nazismo), molte delle quali morirono, vennero trasferite nel giro di tre giorni nelle steppe dell’Uzbekistan. Rientrata solo nel 1980 in Crimea, questa minoranza musulmana si è fin dall’inizio opposta all’indipendenza a Kiev e ora sta vivendo un periodo di forti pressioni. La cantante 35enne, applaudita anche dal presidente ucraino Petro Poroshenko – che ha twittato «tutta l’Ucraina ti ringrazia di cuore, Jamala» – nega l’intento politico sostenendo che il brano si ispira solo alla storia della sua famiglia e a quella di tutti i tatari. Ma per la Russia è una sconfitta che brucia anche perché, davanti a una platea mondiale di 200 milioni di spettatori sparsi in 50 Paesi, la bella mora ha battuto cantando in lingua tatara (prima artista musulmana a vincere Eurovision) il superfavorito russo Lazarev, finito terzo alle spalle dell’Australia. Determinante il voto delle giurie nazionali, sommato al televoto, dove i Paesi dell’ex Cortina di ferro si sono compattate a favore dell’Ucraina. Schiacciata in mezzo a questo enorme polverone internazionale, la nostra pur brava Francesca Michielin è finita sedicesima con la sua «Nessun grado di separazione» che portava con delicatezza sul palco un messaggio di pace e di unione mondiale. Sarebbe bello che qualcuno la ascoltasse. © RIPRODUZIONE RISERVATA