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Tensioni. Lancio di rifiuti, palloncini e spari: la strana guerra tra le due Coree

Stefano Vecchia mercoledì 12 giugno 2024

Uno dei palloni carichi di rifiuti caduti nel territorio sudcoreano

Tensione al rialzo ma anche nervi saldi sul confine tra le Coree. Dopo che domenica una ventina di soldati nordcoreani che – si erano infiltrati al Sud probabilmente durante un trasferimento – sono stati “accolti” da colpi di avvertimento e sono rientrati nella loro fascia della zona smilitarizzata sul 38esimo parallelo, un’altra ondata di palloni con carichi di spazzatura ed escrementi umani ha attraversato il confine non riconosciuto internazionalmente che divide dalla fine della guerra nel luglio 1953 la Penisola coreana. Una provocazione accompagnata dalla minaccia della sorella del dittatore nordcoreano Kim Jong-un di pesanti conseguenze se Seul proseguirà la «guerra psicologica» contro Pyongyang.

Nel comunicato diffuso dall’agenzia ufficiale Kcna, Kim Yo Jong, che è portavoce del regime, ha specificato che per il suo atteggiamento, Seul dovrà «provare il forte imbarazzo di raccogliere senza sosta, quotidianamente, carta straccia». Compito meno facile del previsto se per le autorità militari del Sud, molti degli oltre 300 palloni lanciati sono rientrati al Nord spinti dal vento.
Si è trattato dell’ultimo, grottesco, episodio di un conflitto a bassa intensità giocato negli anni sul piano militare, della propaganda e di azioni simboliche.

A metà maggio dal Sud erano partiti decine di palloni che trasportavano materiale propagandistico anti-regime e chiavette Usb contenenti brani delle star della musica pop sudcoreana. La risposta era stata l’invio di palloni con sacchi di rifiuti e escrementi sul Sud e a questo Seul aveva reagito sospendendo l’accordo del 2018 per la riduzione delle tensioni militari e la fine di qualsiasi iniziativa propagandistica sulla linea dell’armistizio lungo il 38° parallelo e aveva riacceso gli enormi altoparlanti puntati verso il territorio della Corea del Nord per informare sulle nefandezze del regime.

Una risposta legale e non contraria allo spirito dell’accordo di sei anni fa. Se infatti nel 2020 la Corea del Sud aveva reso reato l’invio di volantini al Nord da parte di organizzazioni private, lo scorso anno la Corte costituzionale sudcoreana lo aveva ripristinato come espressione della libertà di parola.

Apparentemente meno problematiche da gestire delle azioni belliche, quelle propagandistiche mostrano con chiarezza la diversità dei due sistemi. Se da un lato Seul vede in esse un modo per evitare l’utilizzo delle armi per rivendicare ciascuno la propria identità, il Nord le ritiene una minaccia per il regime. Allo stesso modo, a Pyongyang la dittatura pretende che il governo di Seul metta fine alle attività ostili dei gruppi di esuli nordcoreani o Ong sudcoreane che chiedono la liberazione del popolo nordcoreano mentre il Sud le ritiene iniziative private legittime perché mirate alla riunificazione.

Mancando di un forum riconosciuto da entrambi dove dirimere le controversie e avviare un processo che porti al trattato di pace, alla definizione definitiva di confini riconosciuti internazionalmente e alla denuclearizzazione della Penisola, i rapporti fra le due parti restano di belligeranza.

L’uso continuo da parte del Nord della minaccia missilistica associata allo sviluppo di testate nucleari e a una notevole forza convenzionale rappresentano fattori di estrema instabilità per l’Asia orientale, già interessata da altri focolai di tensione. Quello con Pyongyang è un continuo braccio di ferro di Corea del Sud, Stati Uniti e alleati con un regime che punta alla sopravvivenza mostrando i muscoli per ottenere visibilità, fondi e spazio per attività sottoposte a sanzioni internazionali.

Sempre lunedì si è tenuto a Seul il terzo incontro del Gruppo consultivo per il nucleare tra rappresentanti sudcoreani e statunitensi. Sul tappeto la risposta congiunta con l’arma atomica in caso di conflitto e lo sviluppo di un deterrente nucleare sudcoreano richiesto da parti politiche ma a cui Washington sarebbe contrario.