Ucraina. La «guerra» dei disertori
La cattura, da parte dell’esercito, di due disertori al confine con la MoldaviaSocila
Il ragazzo che corre al fronte con il piede schiacciato sull’acceleratore non è un combattente. Le trincee le frequenta per consegnare con il suo furgone da idraulico quintali di lubrificante per i carri armati di Kiev. In direzione opposta altri uomini sperano di non essere acciuffati mentre lasciano illegalmente l’Ucraina. E intanto in Russia alcune famiglie rompono il muro del silenzio denunciando come i propri figli siano stati ingannati dal Cremlino e mandati a morire in una guerra di cui non sapevano nulla. Il mestiere delle armi non fa per tutti. Chi per obiezione ideale, chi per paura. Sono disertori, fuggiaschi, renitenti, qualcuno si spinge a chiamarli “traditori”.
Molti hanno mogli e figli rifugiati in qualche Paese europeo. Il presidente Zelensky nelle ultime settimane ha tentato di allentare le maglie, consentendo in alcuni casi anche agli uomini con meno di tre figli a carico (era questa l’unica categoria assolta da un eventuale obbligo di arruolamento) di lasciare l’Ucraina e ricongiungersi ai propri cari. Come chi ha figli disabili, genitori anziani da seguire, in qualche caso anche gemelli di pochi mesi. Gli altri sono chiamati a tenersi pronti. L’arruolamento forzato non è ancora stato decretato, ma alla vigilia dell’autunno, quando ormai è chiaro che il piombo cadrà anche con le nevicate d’inverno, c’è chi prova a svincolarsi dalla legge marziale a costo di rischiare una denuncia e perfino l’arresto.
A Odessa è stata scoperta nei giorni scorsi una rotta campestre per l’attraversamento illegale del confine con la Moldavia. I passaggi andavano avanti da settimane grazie a due residenti del villag- gio di Kozatske, nel distretto di Bilhorod-Dnistrovsky. Si facevano pagare 300 euro per raggiungere un’area poco sorvegliata tra Moldavia e Ucraina, a ridosso dell’enclave non riconosciuta della Transnistria. Il 27enne acciuffato mentre tentava di lasciare il Paese è stato denunciato a piede libero. Negli stessi giorni sempre a Odessa è stata arrestata una ragazza accusata di aver “affittato” il proprio figlio di 15 anni a uomini che non avevano requisiti sufficienti per lasciare il Paese. Il passaparola avveniva in alcune palestre, dove giovani tutti muscoli, messi davanti al rischio d’essere chiamati per sostenere le milizie territoriali formate dai civili, hanno preferito sparire nel nulla. Nonostante le martellanti iniziative mediatiche in favore dell’esercito, al momento i “disertori” non sono oggetto di vaste campagne d’odio. C’è un intimo spartiacque nelle scelte di chi resta, sapendo di poter un giorno essere convocato alle armi, e di chi invece cerca una via d’uscita dal fuoco nemico e da quello amico.
È il fracasso dell’artiglieria sulla linea del fronte. Tutti ne hanno paura, anche i combattenti più esperti. Alcuni, però, ne hanno terrore. E bisogna andarci almeno una volta, al fronte, per non giudicare frettolosamente chi al fronte non ci vuole stare. Tuttavia gli obiettori di coscienza, alcuni dei quali sotto processo da prima della guerra, vengono non di rado additati come “traditori”. A differenza di chi scappa, però, questi ultimi restano nel Paese e affrontano le conseguenze legali della loro scelta, mostrando un coraggio che non gli fa ancora guadagnare il rispetto che meritano. In una guerra con due fronti, è sempre da entrambi i lati che bisogna guardare.
Mosca continua a reprimere qualsiasi forma di dissenso, ancor più se proveniente dalla filiera combattente. Nei giorni scorsi è stata violata la casella di posta elettronica dell’ufficio del procuratore militare russo. Stanno arrivando così le conferme alle tante voci raccolte in questi mesi e spesso riportate in queste pagine. Sono lettere di genitori che accusano il Cremlino di avere mandato i figli allo sbaraglio. Carne da cannone per le mire di Putin, che ha ingannato i suoi stessi soldati. «Quando ho chiamato mio figlio, mi ha detto che lo stavano portando a fare un’esercitazione. Poi si è scoperto che era una guerra. Stavano nelle tende, non potevano lavarsi. Doveva mangiare razioni secche e gliene davano solo mezza porzione. Sul treno non c’era nemmeno acqua potabile. I nostri figli non sono animali. Dov’è la giustizia?», si legge in una delle missive.
Altri genitori hanno fatto gruppo: «I nostri figli facevano parte del primo battaglione, ma non hanno firmato nulla, mentre voi sostenete che lo hanno fatto. Riteniamo che i nostri figli siano stati indotti con l’inganno a partecipare a un’operazione militare e ora la loro vita è in pericolo», hanno scritto in una denuncia a più firme. Molte famiglie non sanno più nulla dei loro ragazzi. «Non hanno mai ricevuto un addestramento militare completo – si legge in una lettera ottenuta dai giornalisti di Bellingat –. Vi chiediamo di rintracciare i nostri figli e di portarli urgentemente in un luogo sicuro». Da Mosca, nessuna risposta.