Covid. La gente di Hong Kong rifiuta i vaccini: «Anche così si può dire no a Pechino»
Dietro le quinte dell’ennesi-ma conferenza stampa della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam: contagi e repressione politica vanno spesso in parallelo nell’ex colonia
Hong Kong assiste in parte attonita, in parte rassegnata ai due eventi concomitanti che dallo scorso anno sembrano averla fatta piombare nell’incertezza e arretrare dal suo ruolo centrale in Asia e nel mondo quanto a libertà democratiche e imprenditoriali. L’epidemia di Covid-19 infuria, non tanto nei numeri delle vittime (210 decessi e poco meno di 12mila contagi di contagio finora) ma nelle conseguenze pratiche e psicologiche che finiscono per associarsi con quelle della repressione prima imposta con la forza nelle strade e poi, dal 30 giugno 2020, sotto il peso di una legge per la sicurezza nazionale trasportata nella Regione amministrativa speciale sul delta del Fiume del Perle senza alcuna considerazione se non verso il potere e la stabilità del Partito comunista cinese.
Una doppia crisi che si interseca, alimentando incertezza, insoddisfazione, reazione per quel poco che è ancora concesso in un sistema che in poche settimane lo scorso anno ha soppiantato trattati, Legge base e promesse che stabilivano la sua autonomia fin quasi alla metà del secolo. Sono decine i provvedimenti che, studiati e applicati originariamente per la situazione di Hong Kong, sono ora al vaglio di Pechino per “normalizzarne” istituzioni e società civile sulla falsariga della Repubblica popolare cinese. Due giorni fa il Consiglio legislativo, il mini-Parlamento dell’ex colonia britannica, ha approvato le leggi che rendono possibile licenziare i titolari di cariche pubbliche e di escludere i candidati alle elezioni se ritenuti «sleali» nei confronti delle autorità locali o cinesi. Approvazione senza ostacoli, dato che la presenza dei gruppi parlamentari democratici in aula è oggi praticamente nulla dopo la serie di arresti, squalifiche e dimissioni. In questo modo, è sempre più vicino l’obiettivo di Pechino ci ridurre drasticamente le possibilità di accesso al Consiglio di elementi non pienamente patriottici.
Alla reazione di piazza sembrano essersi sostituiti paura e rassegnazione, che si esprimono in vario modo. Anche reagendo con scetticismo alla campagna vaccinale, per molti una vera e nuova «forma di resistenza». Non ci sono problemi di approvvigionamenti di vaccini per tutti coloro che, tra i 7,5 milioni di abitanti, abbiano almeno 16 anni, e il procedimento di prenotazione e di somministrazione è estremamente rapido nei 29 centri vaccinali aperti sul territorio. Addirittura, è possibile la scelta tra due vaccini: quello prodotto dalla cinese Sinovac Biotech e quello di Pfizer-BioNTech. Per i dati diffusi dall’agenzia Bloomberg, però, da marzo soltanto l’11,6 per cento degli aventi diritto ha ricevuto le dosi previste contro il 19,4 per cento di Singapore, il “rivale” più diretto di Hong Kong in termini di strutture, economia e popolazione. Un divario ancor più evidente se confrontato con tanti Paesi di pari livello di sviluppo, dove le richieste superano la disponibilità. Domenica scorsa, ha rilevato Bloomberg, gli appuntamenti per le vaccinazioni sono scesi al livello più basso in quattro settimane, con sole 2.100 dosi di vaccino Sinovac inoculate e 6.800 di Pfizer, aprendo a una situazione paradossale e al rischio che migliaia di dosi possano scadere da settembre.
Secondo gli analisti si tratterebbe della manifestazione, non solo dei minori timori verso la diffusione pandemica in una realtà – estesa a molti Paesi dell’Asia e del Pacifico – nei dati meno preoccupante di quella in altre aree del mondo, ma forse ancora di più dello scetticismo e dell’insoddisfazione latenti, conseguenza della mancanza di comunicazione tra la società civile e un governo percepito come debole, sotto controllo esterno e senza mandato popolare.
Anche Elaine Tsui, docente di Psicologia della salute all’Università battista di Hong Kong ha sottolineato come «la grave sfiducia» nei confronti delle autorità alimenti lo scetticismo verso i vaccini ma spinga anche a vedere con sospetto ogni iniziativa di salute pubblica. Insomma un «no» implicito a Pechino sull’onda delle proteste.
In questo contesto rientrerebbero le voci di lotti di vaccino mal conservati o contaminati, come pure il rilievo dato ai 16 decessi attribuiti alle vaccinazioni con il prodotto Sinovac di fabbricazione cinese.