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Ucraina. Sul fronte nella città di Kupyansk. «Resistiamo, i russi non passeranno mai»

Giacomo Gambassi, inviato a Kupyansk sabato 29 aprile 2023

Un palazzo bombardato nel centro di Kupyansk, città a ridosso della linea del fronte

«In memoria del nostro amico e collega». Alzano i bicchierini pieni di liquore i quattro soldati della 92esima brigata meccanizzata nella cucina della loro casa. Una villetta modesta dove i vetri rotti alle finestre e un cratere in giardino raccontano i colpi d’artiglieria che l’hanno sconquassata. Il forno a gas è acceso per asciugare gli anfibi. Per tre volte si ripete il “brindisi della morte” in onore del commilitone ucciso il giorno precedente a poche centinaia di metri, lungo il fronte che corre intorno alla linea più immaginaria che reale dove la regione di Kharkiv ancora libera cede il passo a quella occupata dall’esercito russo.

Gli anfibi ad asciugare in una delle case dove alloggiano i militari ucraini lungo il fronte a Kupyansk - Avvenire

Il sergente maggiore Dmytro Kojan ha il volto stanco mentre inneggia all’«eroe», come lo chiama. È appena rientrato dal suo turno in prima linea, sostituito dal sottufficiale con cui si alterna nel materasso logoro che un paio di coperte donate dalle suore e le lenzuola con i fiori rendono accettabile. Combatte da un anno. «Prima a Izyum, poi qui a Kupyansk», racconta. Più di quattrocento giorni sotto il fuoco. «E ho riabbracciato mia moglie e i miei due figli di 14 e 3 anni per appena dieci giorni». Non toglie quasi mai la mimetica. «Lo faccio per l’Ucraina e soprattutto per loro. Siamo originari di Izyum», la città della maggiore fossa comune scoperta finora. «Quando è stata invasa, all’inizio della guerra, io ero a difendere la comunità; e la famiglia a meno di un chilometro, sotto le bombe. Era terrificante pensare ai miei cari in pericolo mentre ero impegnato negli scontri corpo a corpo».

Il sergente maggiore Dmytro Kojan lungo il fronte a Kupyansk - Avvenire

Non che nell’ultimo lembo dell’oblast di Kharkiv la situazione sia meno complessa. Insieme con Bakhmut, è una delle direttrici su cui le truppe di Mosca concentrano i loro sforzi. Secondo i dispacci del Cremlino, uomini e mezzi arrivati da oltre confine - che dista meno di cinquanta chilometri - avanzano e si avvicinano sempre più a Kupyansk. «Solo propaganda. Qui resistiamo. E non passeranno mai», ribatte il militare. Il crogiolo di casette sparse dove alloggia Dmytro è ormai un villaggio al fronte, una caserma a cielo aperto che anticipa il campo di battaglia. Abbandonato da tutto e da tutti, verrebbe da supporre.

Galina Stipanovna, 75 anni, che ha scelto di restare a vivere al fronte a Kupyansk - Avvenire

Ma il sergente maggiore indica il cancello accanto. Qualcuno zappa il giardino seminato a verdura. Un cappotto nero e un fazzolettone amaranto avvolgono il minuscolo fisico di Galina Stipanovna. Ha 75 anni e, come confiderà, è malata di cancro. Il fragore sinistro le fa alzare lo sguardo verso il cielo dove l’ennesima scia dice del “ping pong” a colpi di mortaio fra i due eserciti. «Se ho paura? All’inizio sì. Ormai mi sono abituata. Poi sono credente e il Signore mi proteggerà». Due cani sono la sua famiglia. Ha scelto lei di resistere fra i soldati. «Davvero bravi ragazzi. Li considero i miei angeli custodi. Mi portano anche il cibo…». Galina non ha un rifugio dove ripararsi in caso di attacchi. «Dormo nel fienile. Non sono mai riuscita a finire di costruire la casa. Sa, le cure oncologiche sono costose». Ma i farmaci non arrivano fin qui. «Mi hanno proposto parecchie volte di sfollare. Ho sempre detto di no. Questo è il mio mondo. E nella mia casa attenderò tempi migliori che sicuramente ci saranno». L’ottimismo della volontà che sconfigge il pessimismo della ragione.

Le vie deserte di Kupyansk segnate dalla distruzione - Avvenire

Kupyansk è a sette chilometri, l’enclave “rossa” secondo la classificazione delle forze armate ucraine. Troppo vicina alle trincee per essere accessibile e anche abitabile. «Ogni giorno parte un convoglio per gli evacuati. Viene ripetuto in continuazione che bisogna andarsene. Ma in troppi non ascoltano», racconta Volodymyr Kurilo che fa la spola con Kharkiv per portare aiuti umanitari e medicinali fra la sua gente. Carichi offerti dall’hub solidale “East-West” o dalle religiose greco-cattoliche di San Giuseppe. In 27mila abitavano qui prima dell’invasione russa. «Oggi sono circa tremila coloro che rimangono di propria volontà», dice Andriy Kanashevych, capo ad interim dell’amministrazione militare del distretto di Kupyansk. Almeno duecento le famiglie con i bambini. «Sono stati aperti corridoi umanitari per i ragazzi e gli invalidi. Abbiamo lanciato una campagna di sensibilizzazione, ma non possiamo obbligare nessuno a rifugiarsi altrove», avverte dal suo ufficio traslocato nell’agglomerato di Shevchenkove, trentacinque chilometri dal capoluogo sotto attacco.

Andriy Kanashevych, capo ad interim dell’amministrazione militare del distretto di Kupyansk - Avvenire

È spettrale Kupyansk. Deserta come non lo sono altre città limitrofe alla linea del fuoco. Né Kherson, né Kramatorsk, né Lyman appaiono così desolate. E morte. Tanto che la prospettiva - se l’Armata rossa si avvicinasse ancora - è di trasformarsi in un’altra Bakhmut con i combattimenti in strada metro dopo metro. La città è già stata distrutta per un terzo. «In centro è impossibile vivere: troppa desolazione e troppo rischioso. Chi non l’abbandona come me sta nelle case autonome: hai l’orto per mangiare, l’acqua del pozzo da bere, la legna», spiega Andriy Spichkin. La moglie è, però, a Kharkiv, centodieci chilometri più a ovest, e il figlio spedito a Cipro. Non c’è nessuno per le vie del centro.

Le vie deserte di Kupyansk - Avvenire

Gli edifici colpiti si susseguono uno dopo l’altro: la casa della cultura, le scuole, i negozi, i condomini, il museo di storia bombardato martedì dove fra le macerie sono stati trovati due cadaveri. Poi la stazione ferroviaria. «Kupyansk è strategica per i suoi binari. La collegano con la Russia e poi con tre regioni. Ma i ponti sono stati fatti saltare in aria», chiarisce il governatore. Però, nella visione russa, viene considerata un avamposto da conquistare per bloccare i rifornimenti ucraini e per tentare di nuovo l’assalto al cuore della regione di Kharkiv, partendo da Izyum. Com’era accaduto un anno fa quando Kupyansk era diventata il quartier generale delle truppe di Mosca ed era rimasta in mano russa fino a settembre.

I pochi abitanti che restano a vive a Kupyansk, città lungo il fronte - Avvenire

«Otto villaggi sono ancora occupati - spiega Kanashevych -. Ed è sia dalle zone controllate dal nemico, sia da oltre la frontiera che partono i raid. Gli abitati a ridosso del fronte sono per l’80% rasi al suolo ma in duemila ci vivono». Un’enormità. «Però siamo in grado di garantire i viveri, l’energia elettrica, il gas», assicura il governatore. E anche i bus passano: vuoti o con un paio di persone al massimo che sfidano la sorte. «Non mi sradicheranno», ribatte Andriy Spichkin. Il soggetto è implicito: i soldati di Putin. «Non ho ceduto quando mi hanno picchiato e tenuto prigioniero per 47 giorni durante l’occupazione. Non mi arrenderò adesso. Lo devo anche ai quattordici compagni di detenzione portati via dai militari e poi spariti nel nulla».

La casa della cultura bombardata dai russi nel cuore di Kupyansk - Avvenire