La svolta. Scuole di partito in Africa: il nuovo export di Pechino
Un’insegnante cinese in classe con un gruppo di studenti in Botswana, Paese dove gli interessi di Pechino crescono
Qualcosa d’inedito si sta manifestando nel processo di cooperazione sino-africana. Nel corso del recente vertice dedicato al Continente, il governo cinese si è dichiarato parte integrante del Global South (Sud Globale) e membro a pieno titolo del cartello dei Paesi in via di sviluppo. Questo concretamente cosa significa? Se da una parte è palese la differenza tra il Pil cinese di circa 18mila miliardi di dollari e quello dell’intero continente africano che è di circa 3mila e 200 miliardi di dollari, dall’altro la Cina si erge a paladino degli interessi del Global South, Africa inclusa, a partire dalle agenzie multilaterali, come il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale (Bm), l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), e anche all’Onu.
Ma il tutto non si ferma qui. Infatti, il Partito comunista cinese (Pcc) ha intensificato la formazione di funzionari di partito e di governo africani come parte integrante del «nuovo modello di relazioni tra partiti» proposto già nel 2017 dal presidente cinese e segretario generale del Pcc Xi Jinping, in particolare nel Sud del mondo. Si tratta di una svolta rispetto a quello che è stato finora lo spirito di cooperazione sino africano incentrato sui cinque principi della cosiddetta “coesistenza pacifica”: rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale; non aggressione; non interferenza negli affari interni; uguaglianza e beneficio reciproco; coesistenza pacifica.
Se da una parte è evidente che questi principi formalmente rimangono validi, è evidente che l’Impero del Dragone ha deciso d’esportare il proprio modello politico-economico. Apparentemente è un’iniziativa all’insegna della cosiddetta soft power, ma di fatto è un’azione invasiva i cui esiti potrebbero avere anzitutto un grande riverbero nel perimetro del Global South, ma anche nelle relazioni con il blocco occidentale.
Emblematica è stata l’inaugurazione, il 22 febbraio del 2022, del primo corso della Mwalimu Julius Nyerere Leadership School di Kibaha, in Tanzania. In quella circostanza Xi Jinping ha rivolto un video messaggio nel quale ha parlato dei «grandi cambiamenti mai visti in un secolo» e della «quanto mai urgente necessità che la Cina e i Paesi africani rafforzino la solidarietà, lo sviluppo comune e lo scambio di esperienze cinesi e la comprensione reciproca nella governance».
170
miliardi di dollari i crediti, i prestiti e le sovvenzioni forniti dalla Cina alle nazioni africane nel periodo che va dal 2001 al 2022
282 miliardi
ll valore, in dollari, del commercio tra Cina e Africa raggiunto nel 2023, con un aumento dell'11 percento rispetto al 2021
360 miliardi
di yuan la cifra totale che Pechino ha stanziato al summit del Focac per implementare dieci azioni di partenariato con l’Africa
5 miliardi
l’ammontare, in dollari, degli investimenti diretti esteri (Ide) delle aziende cinesi nel continente africano nel 2022
50 miliardi
di dollari il totale delle esportazioni africane verso la Cina nel 2021 Nel 2010 valevano “solo” 15 miliardi di dollari
70%
la quota percentuale degli 1,8 miliardi di giovani di tutto il mondo che vive nei territori dell'Africa subsahariana
Questo istituto di formazione, intitolato al padre fondatore della moderna Tanzania, è un progetto congiunto del Pcc e di sei movimenti di liberazione arrivati al potere nell’Africa meridionale: il Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla), il Fronte per la liberazione del Mozambico (Frelimo), l’Organizzazione popolare dell’Africa Sud-Occid entale (Swapo) della Namibia, il Chama Cha Mapinduzi (Ccm, o Partito rivoluzionario) della Tanzania, l’African national congress (Anc) del Sud Africa e l’Unione nazionale africana dello Zimbabwe - Fronte patriottico (Zanu-Pf). Questi partiti fanno parte di una coalizione internazionale denominata Former liberation movements of Southern Africa (Flmsa), che ha il compito di seguire e analizzare le tendenze geostrategiche, le sfide nazionali e globali impegnando i propri membri a fornire reciprocamente supporto all’interno dell’organismo. L’organizzazione è una riproposizione dell’alleanza Frontline States (Fls), una coalizione libera di Paesi africani che dagli anni ‘60 ai primi anni ‘90 si impegnò a porre fine alla segregazione razziale in Sudafrica e nell’Africa sudoccidentale (oggi Namibia) e al governo della minoranza bianca in Rhodesia (oggi Zimbabwe) fino al 1980. Gli Fls includevano Angola, Botswana, Lesotho, Mozambico (dal 1975), Tanzania, Zambia e Zimbabwe (dal 1980). Gli Fls si sciolsero dopo che Nelson Mandela divenne presidente del Sudafrica nel 1994.
Il regime di Pechino, durante gli anni della Guerra fredda, fu un sostenitore ideologico e militare dei sei movimenti di liberazione africani ed è attualmente l’unico partner esterno della Flmsa. Da osservare che la Nyerere School è il primo istituto ad essere modellato sullo schema del Central party school del Partito comunista cinese, che forma i quadri e i leader più importanti dell’impero del dragone. È anche la prima del suo genere a soddisfare le esigenze di più partiti politici africani. Questa scuola è parallela al China-Africa Institute, un’iniziativa continentale del Partito comunista cinese (Pcc) per formare leader di partito e di governo africani. L’istituto, avviato nel 2019, ha sede presso la Chinese academy of Social sciences di Pechino e l’Unione Africana (Ua) di Addis Abeba. La governance e la formazione delle nuove classi dirigenti africane avvengono anche a livello nazionale, come dimostra la ristrutturazione della Herbert Chitepo school of ideology, la scuola del partito al potere nella ex Rhodesia, lo Zimbabwe african national union-patriotic front (Zanu-Pf), completata nel 2023.
Viene spontaneo domandarsi a questo punto in cosa realmente consista la formazione di quelli che saranno i nuovi quadri politici africani stando ai programmi di formazione sulle pratiche di governance cinesi. Anzitutto è importante sottolineare che l’indirizzo formativo proposto dalla Cina pone l’accento sulla supremazia del partito sullo Stato e sul governo, un concetto che è comunque in antitesi con il quadro democratico multipartitico richiesto dalla maggior parte delle costituzioni africane e dalle convenzioni dell’Unione Africana. Pechino utilizza, inoltre, le sessioni formative per promuovere direttamente idee e pratiche in linea con il modello di capitalismo politico-economico dell’Impero del Drago. Oltre a incoraggiare la simpatia per le narrazioni cinesi, tra le nuove leve africane, i programmi forniscono anche assistenza pratica ai Paesi ospitanti per accelerare l’applicazione delle pratiche cinesi. I corsi servono anche per raccogliere informazioni direttamente dai partecipanti ai quali viene richiesto di redigere relazioni che descrivano in dettaglio i loro precedenti scambi e impegni culturali con altri Paesi stranieri su specifici argomenti di ordine socio, politico ed economico.
Queste iniziative, secondo fonti della società civile africana, si inseriscono nelle più ampie ambizioni della Cina di contrastare l’influenza occidentale sul continente. D’altronde, come sostengono molti studiosi africani, la formazione partitica e della governance promossa dalla Cina ha il potenziale per consolidare modelli dominanti all’insegna del partito unico in Africa. Gli stessi programmi di formazione promossi dal Pcc sono fortemente orientati a intercettare le élite nazionali africane, anche se poi vi è sempre in agguato lo spettro dello Stato-Nazione che tanti disastri causò nei primi tre decenni della post-indipendenza africana.
Una cosa è certa: nonostante i benefici impressi dagli investimenti cinesi in Africa, il modello politico di Pechino non pare essere qualcosa a cui la maggioranza dei cittadini africani aspira. Stando ad un sondaggio di Afrobarometer, l’80% degli intervistati rifiuta l’idea del monopartitismo. Sarà la Storia a giudicare.