La svolta. Aborto, arriva la stretta della Cina
La Cina cambia rotta. E decide di ridurre il numero di aborti effettuati non per «scopi terapeutici». La svolta, promossa dal Consiglio di Stato, si inserisce in una più ampia politica finalizzata a «migliorare l'accesso generale delle donne ai servizi sanitari pre-gravidanza». Dunque più attenzione alle nascite e alle famiglie. Per analisti ed esperti a spingere il gigante asiatico sono, però, i timori legati all’andamento demografico del Paese, timori che hanno portato la dirigenza cinese a modificare in profondità le politiche legate alla natalità. Prima la rinuncia alla “politica del figlio unico” – un gigantesco (e terribile) esperimento di ingegneria sociale che ha causato 400 milioni di aborti in 30 anni –, poi l’eliminazione del “vincolo” dei due figli a coppia: oggi è consentito un massimo di tre figli. Tetto che peraltro, secondo il Wall Street Journal, è destinato a scomparire entro il 2025.
Ansa
Un mix di misure che, per ora, non sembra avere un impatto. Nel 2020 le nascite in Cina sono diminuite del 22% rispetto all’anno precedente, passando dai 14,65 milioni di nuovi nati nel 2019, ai 12 del 2020; il tasso di fecondità risulta essere di 1,3 nascite per donna, ben al di sotto del 2,1 necessario per una crescita demografica. La proporzione delle persone in età lavorativa, tra i 15 ei 59 anni, è diminuita del 6,79% nel 2020 rispetto al 2010. Nei prossimi tre decenni, come riporta l’Ispi, «la popolazione cinese in età lavorativa potrebbe diminuire di 170-260 milioni». La crisi demografica sta erodendo, quindi, il fattore chiave dello straordinario sviluppo economico del gigante asiatico, la disponibilità massiccia di manodopera. Quello degli aborti resta una piaga drammatica per il tessuto sociale cinese. Secondo i dati della National Health Commission, tra il 2014 e il 2018 si sono registrati una media di 9,7 milioni di aborti all'anno, in aumento di circa il 51% rispetto alla media del periodo 2009-2013.