Ucraina. L’Onu «certifica» gli orrori: i russi hanno commesso crimini di guerra
L'ingresso di un locale caldaia di una scuola adibito a prigione per famiglie e obitorio
Le immagini delle vittime sopra una fossa comune a Izyum - Ansa / Afp
Il report arriva proprio mentre la Corte penale internazionale dell’Aja ha depositato le prime richieste di arresto, che dovranno essere valutate e autorizzate dal Tribunale. Ma al momento viene escluso che Mosca possa spontaneamente consegnare anche uno solo dei sospettati. Le forze russe hanno condotto attacchi «indiscriminati e sproporzionati», con «effetti devastanti a diversi livelli», ha dichiarato Erik Møse, presidente della commissione indipendente. «Le perdite umane e il generale disprezzo per la vita dei civili sono sconvolgenti», ha aggiunto. Almeno 13 ondate di attacchi russi a partire da ottobre e rivolti contro le infrastrutture energetiche ucraine, insieme all’uso sistematico della tortura, «possono costituire crimini contro l’umanità».La Commissione ha documentato casi di violenza sessuale e di genere che hanno coinvolto donne, uomini e ragazze, di età compresa tra i 4 e gli 82 anni, in nove regioni dell'Ucraina e nella Federazione Russa. E stato accertato che «le autorità russe hanno commesso violenze sessuali in due situazioni principali: durante le perquisizioni domiciliari e contro le vittime che avevano confinato» nei campi di filtrazione o di fatto imprigionate nelle proprie case. «Inoltre, la Commissione ha documentato situazioni in cui le autorità russe hanno imposto la nudità forzata, in detenzione, ai posti di blocco e ai punti di filtraggio». Secondo gli esperti Onu non si tratta di episodi, ma di un sistema preordinato. «Stupri e violenze sessuali avvenivano mentre i militari facevano irruzione nelle case delle vittime. La Commissione ha documentato tali violazioni - si legge ancora - nelle regioni di Chernihiv, Kharkiv, Kherson e Kiev, con una maggioranza nella regione di Kiev, soprattutto durante i primi due mesi del conflitto armato. La maggior parte delle vittime erano donne sole in casa».Gli abusi sono stati commessi «sotto la minaccia delle armi, con estrema brutalità e con atti di tortura, come percosse e strangolamento. Gli autori a volte hanno minacciato di uccidere la vittima o la sua famiglia, se avesse resistito. In alcuni casi, più di un soldato ha stuprato la stessa vittima, oppure lo stupro della stessa vittima è stato commesso più volte». Una ragazza aveva invano supplicato i militari russi di risparmiarla, perché incinta. Pochi giorni dopo ha avuto un aborto spontaneo. «Gli autori, in alcuni casi, hanno anche giustiziato o torturato mariti e altri parenti maschi. I membri della famiglia, compresi i bambini, a volte sono stati costretti a guardare lo stupro dei loro cari».La Commissione ha rilevato numerosi casi di violenza sessuale e di genere commessi durante la detenzione illegale nelle regioni di Donetsk, Kharkiv, Kherson, Kiev e Luhansk, e anche nella Federazione Russa. Ma nelle prigioni russe «i casi di violenza sessuale e di genere hanno colpito soprattutto uomini, sia civili che prigionieri di guerra». Gli ispettori e i loro consulenti tecnici hanno «analizzato i segni di tali atti sui corpi delle vittime decedute. Secondo i sopravvissuti, gli autori - riferisce il dossier - miravano a estorcere informazioni o confessioni, forzare la cooperazione, punirli, intimidirli o umiliarli, come individui o come gruppo». I metodi usati dagli addetti alle torture sono stati replicati anche a distanza di centiania di chilometri, come se dovessero seguire un preciso schema dettato da un manuale. Gli interrogatori, erano caratterizzati da «stupro, scosse elettriche sui genitali, evirazione». Metodi che non sono mai stati interrotti e che fanno temere per le centinaia di altri prigionieri di guerra ucraini.Lunedì il dossier sarà consegnato al Consiglio dei diritti umani di Ginevra. La commissione sta lavorando a una lista di possibili colpevoli. Alla domanda se le azioni di Mosca possano essere configurate come sistematiche e non episodiche, ascrivibili a rappresaglie da parte di singoli combattenti o autonomi squadroni della morte, Erik Møse ha risposto parlando di «ipotesi di genocidio».