L'escalation del terrore. Dunque l'Isis non era morto, dormiva soltanto. Ecco le prove
Il post di rivendicazione dell'Isis
Tra il clamoroso attentato dello scorso 3 gennaio avvenuto nella città iraniana di Kerman e quello di venerdì a Mosca, una lunga scia di sangue è rimasta ignota ai più. Eppure essa scorre ogni giorno dalle coste africane dell'Atlantico a quelle asiatiche del Pacifico. Evidentemente, le stragi che si verificano in alcune parti del mondo non hanno lo stesso impatto mediatico rispetto ad altre, poco importa se poi tutte portano la medesima firma. Quella del Daesh-Isis.
Solo per limitarci agli attentati compiuti quest'anno, l'elenco dei Paesi colpiti dal terrorismo di questo gruppo comprendono Siria, Afghanistan, Pakistan, Tagikistan, Nigeria, Niger, Mali, Congo, Somalia, Libia, Mozambico e Filippine.
Senza contare gli arresti avvenuti in Turchia (legati anche all'attentato di fine gennaio contro una chiesa cattolica italiana), Iraq, Kuwait, Marocco, Uganda, Germania, Svezia, Spagna, Russia, India e altri Paesi ancora. La vittoria militare contro il Daesh, annunciata esattamente cinque anni fa, va riconsiderata. Infatti, se è vero che la battaglia decisiva di Boghuz, sulle rive dell'Eufrate – in cui ha perso la vita l'italiano Lorenzo Orsetti, che combatteva come volontario nelle file dei curdi –, ha spazzato via le strutture statuali del califfato, lo stesso non si può dire della minaccia che le ramificazioni del gruppo continuano a rappresentare per il mondo intero.
Le “province” create qua e là dai terroristi assomigliano oggi più che mai ai tentacoli di una piovra, ognuno dei quali opera in maniera autonoma dall'altro. L'attuale leader, Abu Hafs, in carica da circa otto mesi, sta probabilmente meditando la riscossa. Durante il 2023 la fazione ha rivendicato in totale 838 azioni in tutto il mondo, con dati settimanali che oscillano tra 8 e 33 attacchi. Un numero altissimo, certo, ma che ha rappresentato un calo netto – quasi mille in meno – rispetto ai 1.811 attentati rivendicati l'anno precedente, e soprattutto ai 2.705 del 2021.
I dati di quest'anno sembrano ora indicare una nuova stagione del terrore. Il nucleo originale siro-iracheno non è forse più la “centrale operativa”, ma rimane l'ispirazione di tutti.
Nonostante abbia perso le sue “capitali” di Raqqa e Mosul, l’Isis mantiene ancora secondo le stime dell’Onu 5-7 mila militanti nei due Paesi mediorientali. Nel corso del 2023 il Comando centrale Usa ha condotto oltre 427 raid in questa area, senza contare i frequenti raid dell'aviazione siriana e russa. È comunque nel continente africano che il Daesh ha allargato la propria tela. Quattro le zone di maggiore concentrazione degli attacchi.
La filiale del Grande Sahara e la Wilaya dell'Africa occidentale (il cui “emiro” Ba'a Shuwa è stato eliminato all'inizio dell'anno) si contendono il primato degli attacchi settimanali, ma molto calde rimangono anche il nord del Mozambico e le regioni nordorientali della Repubblica democratica del Congo. Gli assalti sono diretti contro soldati governativi “apostati”, consiglieri militari occidentali e russi, membri delle fazioni rivali fedeli ad al-Qaeda, ma soprattutto contro civili inermi che assistono impotenti all'incendio dei propri villaggi.
Passando in Asia, le stime dell’Onu parlano di 4-6 mila militanti del gruppo che agiscono nel quadrante afghano-pachistano, che corrisponde alla Wilaya del Khorasan, che ha rivendicato l'attentato di Mosca. La fazione è qui in lotta contro i taleban, da sempre allineati ad al-Qaeda, ma anche contro gli “apostati” sciiti dell'etnia hazara. Più verso oriente, la città di Marawi, nell'isola filippina di Mindanao, è periodicamente toccata dalla violenza jihadista. L'ultimo episodio parla di sei soldati governativi caduti in un agguato.
Allerta anche nelle regioni settentrionali del Caucaso. Lo scorso 3 marzo, cinque membri del Daesh sono rimasti uccisi in un'operazione anti terrorismo in Inguscezia. Commentando la notizia, l'esperto Giuliano Bifolchi ha affermato che «se Mosca non dovesse garantire la sicurezza nella regione, insieme alla crescente presenza di battaglioni di volontari provenienti del Caucaso settentrionale in Ucraina, le organizzazioni terroristiche potrebbero riprendere forza e diventare una grande minaccia regionale».