Israele. «Decine di droni dall'Iran». Decollato l'aereo di Netanyhau: «Siamo pronti»
Una delle manifestazioni dei giorni scorsi a Tel Aviv contro il governo
Fonti israeliane hanno confermato che decine di droni sono stati lanciati verso lo Stato ebraico dall'Iran. Lo riporta l'emittente pubblica Kan. Anche il portavoce dell'esercito, Daniel Hagari, ha confermato in conferenza stampa che l'attacco della Repubblica islamica è partito
Si aspettavano il diluvio di missili, ma è bastato che la portaerei americana Eisenhower si allontanasse per fare rotta a protezione delle coste israeliane sul Mar Rosso perché l’Iran battesse il primo colpo: la cattura di un cargo parzialmente di proprietà israeliana. Come se gli ayatollah volessero far sapere che spetta a Teheran la prima mossa: scegliere i modi e i tempi della rappresaglia.
Prima di schiacciare il pulsante, i Pasdaran attendono che la tensione interna esploda. La nuova massiccia manifestazione di ieri sera a Tel Aviv, ancora una volta contro il governo e per le dimissioni di Netanyahu, insieme alla caccia ai palestinesi sospettati di avere ucciso un quattordicenne israeliano residente in un insediamento di occupazione in Cisgiordania, sono l’innesco per un tempo di nuove divisioni che un attacco iraniano potrebbe momentaneamente sanare, riportando unità nella comunità israeliana per la prima volta da molti anni minacciata di venire attaccata da un altro Paese.
Le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno sequestrato una nave da carico legata a Israele. Il blitz condotto con un elicottero dei corpi speciali che si sono calati sul ponte del bastimento è avvenuto nello Stretto di Hormuz, la bocca di accesso al Golfo Persico che nel tratto più ravvicinato non supera i 50 chilometri e da cui passa un quinto del petrolio consumato nel mondo. Si tratta della “Msc Aries”, battente bandiera portoghese e noleggiata da “Gortal Shipping”, un’affiliata di “Zodiac Maritime”, branca di “Zodiac Group” del miliardario israeliano Eyal Ofer.
Che gli scenari peggiori si stiano avvicinando lo conferma una notizia arrivata da Washington. Il presidente Joe Biden ha improvvisamente cambiato programma lasciando la sua residenza nel Delaware, dove si era recato per trascorrere il fine settimana, per rientrare alla Casa Bianca dove lo attendevano «consultazioni urgenti» sulla crisi in Medio Oriente. Poche ore prima la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, Adrienne Watson, aveva espresso la «ferma condanna per il sequestro da parte dell’Iran della Msc Aires in acque internazionali». «Ne chiediamo il rilascio immediato», aveva sottolineato, precisando che «l’equipaggio è composto da cittadini indiani, filippini, pachistani, russi ed estoni». E in serata, riporta il quotidiano israeliano Haaretz, la Giordania ha temporaneamente chiuso il proprio spazio aereo a tutti voli i voli in arrivo, in partenza e in transito.
Il primo aprile Tel Aviv aveva attaccato il consolato iraniano a Damasco, uccidendo sette Guardiani della Rivoluzione, tra cui due alti comandanti. Il presidente ha dichiarato che si aspettava una rappresaglia iraniana «prima, piuttosto che dopo» e avvertito Teheran di «non farlo». Il portavoce militare di Israele, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha assicurato che «l’Iran dovrà affrontare le conseguenze se sceglierà di inasprire ulteriormente la situazione».
Secondo Hasan Alhasan, analista dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici, il sequestro della nave e potrebbe essere interpretato come una rappresaglia contro Israele messa in campo per «salvare la faccia evitando un’escalation più ampia». Ma il silenzio di Teheran sul possibile attacco missilistico viene interpretato come strategico per non far trapelare i piani, mentre un crescente numero di compagnie aeree annuncia lo stop ai voli fino a Tel Aviv e Teheran.
Il livore in Cisgiordania minaccia di tracimare nuovamente in scontri di strada. Le Forze di difesa israeliane (Idf) e la polizia di frontiera hanno inviato rinforzi per far fronte alla spirale di violenza innescata dal ritrovamento del corpo senza vita del 14enne israeliano Benjamin Achimair, che era scomparso dall’insediamento di Malachi Hashalom, vicino Ramallah, capoluogo politico della Cisgiordania, dove si contano 291 tra insediamenti e avamposti di occupazione israeliani. Le retate dell’esercito israeliano si sono intensificate. E se ne attendono di più aggressive, dopo che ieri è stato trovato morto l’adolescente ebreo in circostanze ancora da chiarire. Il colpevole, forse più d’uno, si cerca tra i giovani palestinesi con cui avvertimenti e intimidazioni sono all’ordine del giorno, ovunque vi siano colonie di occupazione illegale.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha promesso che gli assassini verranno arrestati. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha fatto appello ai nervi saldi: «Lasciate che le forze di sicurezza agiscano rapidamente nella caccia ai terroristi. Gli atti di vendetta renderanno difficile la missione dei nostri soldati», ha scritto sui social network. Un richiamo caduto nel vuoto. Nel corso delle ricerche, infatti, i coloni ebrei della zona sono entrati in un vicino villaggio palestinese e in piena notte hanno dato fuoco a case e auto. Almeno un palestinese è stato ucciso. Di giorno, invece, poco fuori Ramallah, sei arabi sono stati feriti da un gruppo di coloni armati nel villaggio di Al-Mughayyir: uno è stato colpito alla testa e versa in gravi condizioni, gli altri cinque sono stati gambizzati. Nelle stesse ore un’altra ronda di coloni ha sparato a distanza in direzione del corteo funebre per un 25enne palestinese ucciso il giorno precedente, nel corso di scontri con altri coloni. Un ragazzino palestinese, coetaneo dell’israeliano ucciso, è stato colpito e ferito da altri coloni all’ingresso del villaggio di Beitin, situato a nord-est di Ramallah, nella Cisgiordania occupata. La Mezzaluna Rossa palestinese ha confermato che il 14enne è stato bersagliato da «munizioni vere». Un dettaglio non secondario: l’esercito israeliano spesso usa proiettili di gomma dura. Secondo testimoni oculari, un gruppo di coloni aveva sparato verso le case del villaggio, colpendo il minorenne.
I coloni non vogliono giornalisti tra i piedi. E ieri ne ha fatto le spese Shaul Golan, fotoreporter del giornale israeliano Yedioth Ahronot, che ha raccontato di essere stato attaccato aggredito da un gruppo di 20-30 coloni, sbucati da un campo di ulivi, dopo che era entrato in una casa del villaggio palestinese data alle fiamme dagli estremisti ebrei che gli hanno sottratto la fotocamera e poi l’hanno data alle fiamme. Le fibrillazioni con l’Iran e gli scontri in Cisgiordania da alcuni giorni mettono in ombra gli sviluppi su Gaza, dove invece continuano le operazioni militari e si registrano altri morti tra i civili.