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Armamenti. L'industria dei droni militari parla sempre più cinese

Luca Miele venerdì 26 gennaio 2024

Sfilata di droni a Piazza Tienanmen a Pechino

Hanno invaso i teatri di guerra. Hanno stravolto le tattiche di combattimento. E stanno riempiendo i depositi militari dei Paesi di mezzo mondo. La corsa ai droni – che possono stare nel palmo di una mano o pesare fino a 454 chilogrammi - sembra non conoscere limiti. Il mercato è in continua espansione. Oggi viene valutato attorno ai 14,14 miliardi di dollari. Si prevede che, entro il 2030, le sue dimensioni lieviteranno fino a raggiungere quota 35,60 miliardi di dollari.
Qual è il mix di fattori che rende così “appetibile” questo micidiale strumento di morte? Innanzitutto l’ampia gamma di operazioni per le quali può essere utilizzato: dagli omicidi mirati ai bombardamenti a tappeto fino alla raccolta capillare di informazioni. I veicoli senza pilota abbattono le incognite letali per i militari, alzando in compenso drammaticamente quelle a cui sono esposti i civili. Consentono ai Paesi che possono contare su capacità militari inferiori di fronteggiare nemici più potenti, grazie a strumenti relativamente più economici.
Il rischio è che l’industria militare finisca per inondare il mercato della guerra con prodotti sempre più miniaturizzati, più letali, più economici, più facili da utilizzare e disponibili (quasi) per chiunque. Moltiplicando esponenzialmente i possibili scenari di guerra e rendendo “infiniti” quelli già in corso, come sta accadendo in Ucraina.

La Cina punta sempre più sull'industria dei droni - ANSA

L'EGEMONIA CINESE

Uno dei protagonisti indiscussi di questa nuova industria della morte è la Cina. I dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) certificano il ruolo che Pechino si è ritagliato, diventando il principale esportatore mondiale di droni militari. Negli ultimi 10 anni il gigante asiatico ha consegnato 282 droni da combattimento. Tra i principali acquirenti figurano gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, l’Egitto e il Pakistan. Nello stesso periodo gli Usa – la cui tecnologia è al momento la più avanzata nel mondo – ne ha consegnati “solo” 12 a Francia e Regno Unito.
Il dominio che la Cina si è guadagnata sul mercato globale dei droni non è ovviamente casuale ma è stato spinto da un gigantesco sforzo finanziato per elevare le forze armate del Paese a “standard di livello mondiale”. Il presidente cinese Xi Jinping ha descritto i droni come capaci di “cambiare profondamente gli scenari di guerra” e si è impegnato ad “accelerare lo sviluppo di capacità di combattimento intelligenti e senza pilota”.

LA VETRINA DELLE ARMI

Una delle unità più vendute dalla Cina è il Caihong 4 (CH-4), sviluppato dall'Accademia cinese di aerodinamica aerospaziale. È quasi identico al MQ-9 Reaper prodotto negli Stati Uniti dalla General Atomics e può essere utilizzato sia per scopi di ricognizione che di attacco. La Cina possiede anche il Wing Loong 2, un veicolo aereo senza pilota che può essere controllato a distanza da un operatore umano. Dotato di telecamere e sensori a infrarossi, il Wing Loong 2 può essere utilizzato per sorvegliare le linee di rifornimento o per condurre attacchi. L’industria cinese continua a sfornare prodotti sempre più sofisticati e “appetibili”.
Tra questi c'è il Wing Loong ID, una versione più grande del Wing Loong 2 progettata per "missioni di resistenza". Questa unità aerea ha un'apertura alare di 58 piedi ed è progettata per la ricerca, il salvataggio e il combattimento. Ha bisogno di una pista di mezzo miglio per decollare ma può trascorrere 35 ore in aria.

PIU' ECONOMICI. E PIU' VENDIBILI

Qual è la chiave del successo dell’industria militare di Pechino? I droni cinesi stanno diventando sempre più sofisticati. E soprattutto economici. Fornire prodotti meno costosi è un modo per anticipare la concorrenza ed agganciare “clienti” con più ridotte possibilità di investimento. Secondo Asia Times, Pechino ha sviluppato un motore a reazione a basso costo che potrebbe aprire la strada alla produzione di droni all’avanguardia più economici, ridefinendo così le strategie globali della guerra. La svolta tecnologica consentirebbe all’Esercito popolare di liberazione (PLA) di procurarsi motori per droni a reazione superiori a meno di un quinto del prezzo internazionale. Gli Stati Uniti, che hanno un budget militare maggiore rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme, possono attualmente permettersi solo 42 Global Hawk, che costano circa 130 milioni di dollari ciascuno.
Per ovviare al possibile ritardo, gli Usa hanno lanciato il nuovo programma “Replicator” del Pentagono, il cui obiettivo è consentire all’industria bellica americana di sfornare migliaia di droni da combattimento “economici e intelligenti” per qualsiasi conflitto futuro.
Secondo la Reuters, “siamo davanti a un capovolgimento della visione convenzionale degli ultimi decenni, in cui gli Stati Uniti erano il leader incontrastato in termini di grandi piattaforme militari – bombardieri a lungo raggio, portaerei e simili – mentre i rivali, come la Cina, inondavano il mondo con mezzi e armi a basso costo”.