Ucraina. L’Europa si impantana coi Leopard. Ecco perché
Il convoglio dei Patriot inviati da Berlino
Ha del surreale il dibattito sull’invio a Kiev di carri armati Leopard 2, un gioiello dell’industria bellica tedesca. Il tira e molla va avanti da mesi. Ma uno spiraglio sembra essersi aperto avant’ieri, quando la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha detto a un intervistatore stupefatto che Berlino non si opporrà più al trasferimento di Leopard europei all’Ucraina. La dichiarazione sorprende: è stata rilasciata in Francia, a un canale televisivo secondario. Non proviene né dal cancelliere Scholz, né dal suo ministro della Difesa. Perché questo corto circuito? Si tratta di una sparata di politica interna o di una pressione velata su un esecutivo finora recalcitrante? Il 49% dei tedeschi è con Scholz: si oppone all’operazione. E senza il placet di Berlino nessun Leopard finirà mai in Ucraina, perché in materia di armamento i Paesi produttori hanno un diritto di veto sulla riesportazione dei propri mezzi da parte dei clienti internazionali.
Dietro le quinte, è inoltre in corso una guerra economica senza esclusione di colpi fra industriali tedeschi e americani. Washington ha fiutato l’affare. Ha promesso agli alleati europei forniture immediate di carri in sostituzione dei panzer cedibili a Kiev. Finora Berlino ha goduto di un monopolio semiesclusivo sul mercato europeo dei tank. Ma Washington è pronta a scalzarla. Gli affari innanzitutto. Ecco perché i tedeschi sono doppiamente guardinghi. Anche se l’affare si sbloccasse, i problemi sarebbero solo rimandati. Comunque la si giri, la coperta è corta: in un momento in cui si fanno stringenti i rischi di guerre ad alta intensità, nessun Paese ha abbondanza di corazzati. Varsavia ha in tutto 247 Leopard. Nel breve periodo, potrebbe girarne a Kiev 14. Il presidente Zelensky ne chiede di più. «Diverse centinaia». «Dal momento che l’esercito russo ha mille carri armati – ha detto ieri – nessun Paese risolve il problema decidendo di dare 10 carri armati, o 20, o 50. Ma fanno una cosa molto importante: motivano i nostri soldati a combattere per i propri valori. Perché dimostrano che il mondo intero è con noi». Va detto che numeri così ridotti non avrebbero valenza operativa. Ingorgherebbero solo una logistica già in affanno. Purtroppo, in guerra contano i numeri: i russi hanno già preso le misure ai Leopard, inviando nelle basi a ridosso dell’Ucraina i loro ultimi ritrovati. I carri Armata saranno la risposta immediata ai Leopard. Senza 300-400 tank all’avanguardia sarà impossibile per gli ucraini contrapporsi. Sulla carta i numeri ci sarebbero. Fra Europa e Canada 15 Paesi hanno in dotazione i Leopard, con 2mila mezzi circa: 200 sono in linea in Germania. La Bundeswehr ne va gelosa e non vuole privarsene. L’esercito spagnolo ne ha 327, ma molti sono inservibili. La Grecia, che deve vedersela con la Turchia, ha già fatto sapere che non cederà nessuno dei suoi 353 carri. Il Portogallo ne ha appena una trentina. Rimangono Finlandia (100 mezzi), dettasi disponibile a sacrifici, Danimarca (44), Svezia (120) e Norvegia (16). Francia e l’Inghilterra hanno modelli incompatibili e flotte esigue: i 14 Challenger promessi da Londra a Kiev non serviranno a nulla. Creeranno solo grattacapi. Macron, come usa fare, ha messo le mani avanti: «all’Ucraina non servono carri ma un ombrello antimissilistico».
Quanto all’Italia, i suoi 150 Ariete si riducono a una ventina di mezzi operativi. Nessuno può essere ceduto a cuor leggero. Per rimpiazzare un carro donato occorrono mesi e tanti soldi. Un Leopard costa 7-8 milioni di euro. Implica una rete di formatori, centinaia di tecnici esperti e continuità di pezzi di ricambio. L’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, ieri ha ammesso che i Paesi membri «hanno opinioni divergenti». «Berlino non bloccherà gli invii», ha precisato. La questione resta sul tavolo e si continuerà a discuterne. Jens Stoltenberg, Segretario generale della Nato, non si dà per vinto. Incontrerà oggi a Berlino il neo-ministro tedesco della Difesa, Boris Pistorius. Cercherà di persuadere l’alleato a sbloccare il dossier, perché il Leopard è il miglior compromesso esistente fra rusticità e capacità operativa. È stato pensato fin dall’inizio per fronteggiare i corazzati sovietici. Ma spedirlo in Ucraina significherebbe riaprire una ferita storica mai rimarginata, ottant’anni dopo le tragedie dell’operazione Barbarossa. Esporrebbe la Germania – che ieri ha avviato la fornitura alla Polonia di due delle tre batterie di sistemi di difesa anti-missile Patriot – alle rappresaglie russe.
Difficilmente i Leopard cambierebbero il corso della guerra. Non sarebbero nemmeno pronti entro primavera, data probabile della spallata russa contro il Donbass. Prolungherebbero solo una guerra che non farà vincitori, aumentando vittime e distruzioni.