L'avanzata. Le mani di Erdogan sul Caucaso: un «corridoio» nelle aree armene
Erdogan ieri in Azerbaigian dal presidente Ilham Aliyev
E' di 20 morti il bilancio dell'esplosione avvenuta ieri sera all'interno di un deposito di carburante nel Nagorno Karabakh, il territorio azero a maggioranza armena. Il governo separatista ha dichiarato che "13 corpi non identificati" sono stati trovati sul posto e altre 7 persone sono morte in ospedale. I feriti sarebbero oltre 200.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan mette un’ipoteca sul Caucaso, mentre la popolazione armena scappa dal Nagorno-Karabakh, una exclave non riconosciuta dalla comunità internazionale, ma dove abita da secoli e dalla quale è stata cacciata dalle truppe azere alleate di Ankara.
La Turchia si prepara a diventare la forza esterna più importante della regione, anche grazie un’intesa sempre più stretta con l’Azerbaigian di Ilham Aliyev.
Erdogan è arrivato a Baku ieri e si è recato nella exclave azera di Nakhcivan, dove verrà aperta una base militare moderna, frutto della cooperazione dei due Paesi. Il momento più importante della trasferta, preparata da tempo, è stato il viaggio del presidente turco nell'area di Zengezur, zona strategica necessaria per costituire un discusso corridoio che colleghi l'Azerbaigian con l'exclave e che Aliyev aspettava da tempo. Lo slogan dei “due Stati, una sola nazione”, prima solo nella testa del presidente turco, adesso è sotto gli occhi di tutti.
Il messaggio per la comunità internazionale, è fin troppo chiaro. Se fino a ieri in Caucaso si parlava in russo, oggi si passa al turco. Erdogan corona un sogno che accarezzava da tempo. Mosca è impegnata sul fronte ucraino e tutto quello che ha potuto fare è stato prendere atto della situazione e respingere le accuse del leader armeno, Nikol Pashinian, che ha parlato di «fallimento» dei peacekeeper russi in Nagorno-Karabakh. La verità è che il destino della exclave armena in terra azera, non riconosciuta dalla comunità internazionale e bramata da Baku, era segnato da anni. Da quando Ankara ha iniziato ad aiutare militarmente l’Azerbaigian e Mosca ha ceduto terreno a causa dell’impegno in Ucraina, lo smembramento progressivo del territorio era solo questione di tempo. Poco tempo.
A farne le spese, per prima, è stata la popolazione civile armena. Gli sfollati, fino a questo momento, sono oltre 6.000 sui 120mila che abitano nell’area. Chi poteva è andato in Armenia da parenti, chi ha sempre vissuto in Nagorno-Karabakh ha perso tutto quello che aveva e attualmente è ospitato nel centro di Kornidzor, vicino al corridoio di Lachin che collega l'Armenia alla regione contesa e che l’Azerbaigian ha tenuto chiuso per mesi. Per tutti, negli ultimi giorni, la vita ha subito un’accelerazione, a volte anche verso la morte.
Le segnalazioni di crimini contro i civili si contano a migliaia: mutilazioni, funerali e matrimoni celebrati di fretta, i primi onorare gli estinti con un ultimo saluto dignitoso, i secondi per scappare insieme, verso un futuro che doveva essere di felicità e che sarà solo di incertezza.
Tragedie che non compaiono nel discorso Erdogan, che ha celebrato la vittoria degli azeri, dimenticando completamente di citare le sofferenze dei civili. «Ci ha reso orgogliosi – ha detto durante la conferenza stampa con il presidente Aliyev – il fatto che l’Azerbaigian abbia portato avanti l’operazione in Nagorno-Karabak in tempi brevi e con il massimo rispetto per i civili. La vittoria di Baku contro l’esercito dei separatisti ha aperto nuove possibilità per una normalizzazione nella regione». Non è mancato un appello all’Armenia – «Ci auguriamo che l’Armenia intraprenda le iniziative necessarie» – che suona come una beffa: aiutare il processo di normalizzazione. Che significa rinunciare a ogni pretesa sul Nagorno-Karabakh.
La felicità per la nascita di questa nazione ideale, però, ha un grosso nemico: l’Iran. Teheran è ai ferri corti con l’Azerbaigian per questioni di sfruttamenti di giacimenti e da tempo è infastidita per l’esuberanza della Turchia in Caucaso e in Siria. Se al Cremlino hanno dovuto accettare la situazione ob torto collo, la Repubblica Islamica ha tutti i margini per fare sentire la sua voce.