Ucraina. Un anno dopo i massacri, sfilano a Bucha le candele della pace
Il presidenze Zelensky a Buchia in via Vokzalna, la "strada degli orrori"
Le luci della speranza sono flebili sotto la pioggia e nel crepuscolo che avvolge la “città dell’orrore”. Flebili come la prospettiva che la guerra possa finire a breve, ma comunque accese. Sono le «candele della memoria e della pace», come le ha volute chiamare l’amministrazione municipale. Le portano in mano, fra il silenzio della folla, gli abitanti di via Vokzalna che il mondo ha conosciuto per i cadaveri lasciati sul ciglio della strada, per i carri armati abbandonati, per le case bombardate una a una: 215 quelle colpite solo in questa striscia d’asfalto di un chilometro e mezzo prima della ritirata dell’esercito russo. Una processione laica fra dolore, rabbia e orgoglio che raduna duemila persone.
La catena umana con le "candele della memoria e della pace" nel primo anniversario della liberazione di Bucha - Reuters
È il 25 aprile di Bucha, anche se il calendario segna il 31 marzo: è il giorno che celebra la liberazione del Comune “martire” a trenta chilometri da Kiev diventato l’icona della resistenza ucraina che ha fermato l’Armata Rossa diretta verso la capitale. Ma anche il simbolo della follia della guerra con le distruzioni sistematiche che le truppe di Mosca si sono lasciate dietro, le uccisioni di massa, la prima fossa comune scoperta dall’inizio dell’invasione. E sorprende che le autorità locali ricorrano alla parola “pace” per definire in modo ufficiale la catena umana realizzata al tramonto. Segno che il fragore delle armi è un suono molesto, anche se nel Paese la pace rimane sinonimo di vittoria.
La catena umana con le "candele della memoria e della pace" nel primo anniversario della liberazione di Bucha - Gambassi
Lo ribadisce il presidente Volodymyr Zelensky che all’ora di pranzo si presenta a sorpresa in via Vokzalna e ripete quello che aveva detto la sera precedente nel suo messaggio quotidiano: la liberazione di Bucha e delle località che hanno salvato Kiev è «la prova del fatto che l’Ucraina sarà in grado di vincere». Poi si ferma al sacrario sorto dietro la chiesa di Sant’Andrea dove sono stati nascosti settantasette cadaveri.
Il presidente Zelensky al sacrario di Bucha sorto sopra la fossa comune scoperta un anno fa - Reuters
Via Vokzalna racconta oggi la voglia di risorgere della città. «Presto si concluderanno i lavori nelle abitazioni che saranno finalmente tutte rinnovate», annuncia il sindaco Anatolii Fadoruk. Luccica l’asfalto steso da una settimana. Ancora da finire i marciapiedi. Appena comparse agli incroci le protezioni in acciaio con lo stemma dell’Ucraina che gli operai collocano al mattino. «Proprio un anno fa – afferma il sindaco – mi guardavo intorno e non c’era più nessuno: appena 3mila abitanti rimasti su 40mila. Perciò uno dei nostri compiti è far tornare la gente. Ed è quello che tentiamo di fare: riparando case, scuole, edifici pubblici, fabbriche. Per dire magari alle famiglie con i figli piccoli che possono crescerli qui». Bucha è un enorme cantiere e un modello della ricostruzione nella nazione ancora sotto le bombe. «Per chi è sopravvissuto alla violenza, la fuga del nemico è stata come una seconda nascita. Qui c’è stato un genocidio. E il primo dovere è non dimenticare», avverte il primo cittadino.
La ricostruzione a Bucha - Reuters
La memoria, appunto, come ricordano le candele. Ma anche le lacrime sui volti delle donne che sfilano lungo il “Viale dei combattenti per la libertà” inaugurato nel pomeriggio. Sono le madri e le mogli di decine di militari uccisi che “rivivono” sui totem fra i condomini in una Spoon River targata Bucha. Salomia si avvicina alla gigantografia di Igor Olefir, capitano morto a 21 anni nella regione di Chernigiv per un attacco missilistico, si legge nella descrizione. E la accarezza. Ha due anni e mezzo. «Era suo padre», sussurra mamma Snigiana mentre appoggia un mazzo di garofani e un lumino vicino al ritratto. Al suo fianco l’altra figlia, Christina, undici anni. «E vede la foto qui accanto? È il fratello di Igor, Mihaylo. Sono partiti insieme e sono morti insieme», dice dietro uno sguardo che è tutto disperazione e niente “gloria agli eroi”.
Snigiana con la figlia di due anni, Salonia, davanti alla foto del marito militare morto - Gambassi
Le ferite della guerra restano a Bucha nell’anima. E anche negli stabili della periferia. Ed è la città ancora trafitta che sceglie il capo della Chiesa greco-cattolica, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, per celebrare l’anniversario con qualche giorno di anticipo. Dietro il palazzo al civico 144 di via Yablunska rende omaggio alle vittime “dimenticate”: come gli otto civili fucilati dai russi lungo il muro dell’entrata laterale. «Qualcuno si è arrogato il diritto di decidere chi doveva vivere e chi morire – ammonisce l’arcivescovo –. Ma come cristiani siamo certi che il sole vincerà sulla notte e che dopo l’inverno sboccerà sicuramente la primavera».
Le otto vittime civili dimenticate a Bucha, uccise davanti al muro del palazzo al civico 144 di via Yablunska - Gambassi