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Medio Oriente. Avvento «blindato» in Cisgiordania. Betlemme al buio accoglie Patton

Nello Scavo, inviato a Betlemme sabato 2 dicembre 2023

Mohammad con il figlio Ibrahim, mostrano il ritratto di Jamal, ucciso a 15 anni

«Vuoi vedere Hamas? Vuoi conoscere quelli del jihad? Ti porto da loro». Il professore insegna storia nelle scuole di Jenin, l’avamposto palestinese più a Nord. Ci accompagna da Jamal, il suo ragazzo e la sua speranza: 15 anni. «È qui», sospira mentre ora parla come un padre mai vorrebbe. S’ingobbisce sulla lapide. Da qualche ora Jamal è sotto a un mucchio di terra scura e sassi, nel cimitero di fianco alla strada distrutta. È finito qui perché tirava sassi ai blindati di Israele. A poca distanza una chiesa si prepara all’Avvento. Ma dai vicoli del campo profughi sembra Quaresima. Israeliani e palestinesi, tutti hanno dei lutti. Ma ognuno piange i suoi. Perfino a Betlemme un razzo lanciato da Gaza si è abbattuto senza fare grossi danni nell’area di Beit Sahour, provocando «paura e sconcerto tra gli abitanti», hanno raccontato i testimoni. Palestinesi che mai si sarebbero aspettati di finire, anche solo per sbaglio, nel mirino di Hamas. Comincia così il tempo in preparazione del Natale in Palestina. Fra Francesco Patton, custode di Terra Santa, è arrivato a Betlemme come da tradizione per pregare nel luogo della Natività, alla vigilia della prima Domenica di Avvento. Diversa da sempre. Troppo il sangue sparso per fare come se niente fosse. Nessuna luminaria, in silenzio la banda musicale, neanche il tripudio degli scout sul sagrato della Chiesa della Natività.

Il custode di Terra Santa, Francesco Patton, alla basilica della Natività - Reuters

«Un ingresso sobrio in segno di rispetto per tutti coloro che soffrono la violenza e la guerra in corso – ha detto fra Patton –. Non solo a Gaza e in Israele ma anche in Cisgiordania dove la situazione è tesissima». L’inizio di quest’anno «assume un enorme significato e lo stesso vale per la nostra comunità cristiana. A Betlemme – ha ricordato Patton – non ci sono pellegrini, tutto è chiuso, deserto, niente albero, niente luci. La città soffre una grave povertà, riflesso della guerra a Gaza e degli scontri in Cisgiordania. La gran parte dei nostri cristiani vive nel settore del turismo e l’assenza di pellegrinaggi li condanna ad una povertà ancora maggiore». Perché la guerra è morte e fame. In Palestina si contano quelli che non tornano indietro dagli scontri, e di notte si tiene la testa vicino alla finestra. «Quando il lampione trema – spiega Mohammed, che dice di non aver mai preso parte alle battaglie -, vuol dire che ci sarà da scappare o battersi». Come il suo Jamal, che invece doveva stare alla larga. Nella cittadella dei morti, dentro al campo profughi, sventolano le bandiere delle falangi armate sopra ai tumuli dei «martiri». È così che li chiamano, senza distinguere tra i caduti in battaglia e quelli finiti in mezzo per sbaglio. Intorno, sul muretto di cinta coperto di calce, ci sono le immagini in posa dei militanti armati. Alcuni poco più che bambini. I più, ragazzi di vent’anni che sfoderano armi e facce da duri. Il mito del “partigiano” si alimenta del sangue dei Jamal, che quest’anno sono più di 400 in Cisgiordania.

Il cimitero della jihad a Jenin - Scavo

Nel camposando dei combattenti non c’è più posto: olte 400 morti nel 2023, più di 200 da quando è scoppiata la guerra - Scavo

Uno dei cimiteri per i “martiri” delle milizie che combattono contro Israele - Scavo


Le incursioni dell’esercito israeliano hanno distrutto anche il luogo-monumento in cui un anno fa venne uccisa Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese e cristiana di al-Jazeera - Scavo


Al camposanto non c’è più spazio. Hanno dovuto improvvisarne nell’aiuola a pochi passi da dove l’anno scorso un tiratore israeliano uccise Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese e cristiana di al-Jazeera. Del monumento spontaneo a lei dedicato dalla gente del posto è rimasto solo un albero. Il bulldozer arrivato l’altra notte ha artigliato la pietra su cui era inciso il suo nome, e l’ha fatta a pezzi. «Sono un insegnante e per i miei figli non volevo tutto questo – racconta il professore –. Jamal lo hanno ucciso con un drone e loro dal drone lo sanno se quello è un ragazzino o un adulto, se imbraccia un mitra o tira pietre. Ma per noi palestinesi qui non ci sono diritti». È sconfortato mentre nel salotto di casa guarda Ibrahim, 12 anni, capelli ricci e chiari.

«Sono pronto anche io», dice con il piglio di chi deve dimostrare di non dover versare lacrime. «Diventerò un martire come Jamal», promette. Il padre parla di storia, di politica. Ibrahim va a prendere un ritratto del fratello, lo accarezza. E si capisce che è solo un marmocchio quando si avvicina all’oreccchio del papà. «Vai a comprarti una bibita», gli risponde lui mentre gli porge alcune monetine. E Ibrahim torna bambino e corre alla bottega. «Jamal voleva studiare e diventare qualcuno – racconta il professore mentre la moglie, che resta in disparte, ci prepara il tè nel grande appartamento in centro –. Però come tutti i ragazzi qui non aveva speranza. Vai a fare una corsa in bicicletta in campagna, e il giorno dopo la terra è occupata dai coloni. E i coloni ti sparano. E se non lo fanno loro arrivano i soldati».


Il padre di Jamal prega sulla tomba del figlio di 15 anni, “ucciso da un drone israeliano perché lanciva sassi ai soldati” - Scavo


Quattro ragazze pregano sulla tomba del padre, ucciso da un proiettile vagante durante gli scontri a Jenin - Scavo


Come i pastori di Betlemme, che da duemila anni stavano li a pascolare accanto alla cappella che ricorda l’annuncio che ricevettero nella Notte Santa. I nuovi insediamenti sono arrivati fino a lì, e gli allevatori se ne sono dovuti andare. O come a Ramallah, dove i coloni sono piombati perfino a ridosso di un vecchio campo profughi e la gente non può andare neanche a visitare i defunti, perché la strada è stata chiusa e i proiettili arrivano prima dell’altolà. Là è arrivato ieri il procuratore dell’Aja Kharim Khan, che indaga sui crimini di Hamas ma non esclude di investigare anche su Israele. A uccidere sono però anche i muri. «Betlemme è una città chiusa e separata da Gerusalemme. Separare Gerusalemme da Betlemme - dice fra Patton - non è mai successo nella storia. Quanto sta accadendo, allora, ci aiuti a riscoprire il valore più autentico e spirituale del Natale, ma anche il desiderio di riedificare l’uomo».