Medio Oriente. Avvento «blindato» in Cisgiordania. Betlemme al buio accoglie Patton
Mohammad con il figlio Ibrahim, mostrano il ritratto di Jamal, ucciso a 15 anni
Il custode di Terra Santa, Francesco Patton, alla basilica della Natività - Reuters
«Un ingresso sobrio in segno di rispetto per tutti coloro che soffrono la violenza e la guerra in corso – ha detto fra Patton –. Non solo a Gaza e in Israele ma anche in Cisgiordania dove la situazione è tesissima». L’inizio di quest’anno «assume un enorme significato e lo stesso vale per la nostra comunità cristiana. A Betlemme – ha ricordato Patton – non ci sono pellegrini, tutto è chiuso, deserto, niente albero, niente luci. La città soffre una grave povertà, riflesso della guerra a Gaza e degli scontri in Cisgiordania. La gran parte dei nostri cristiani vive nel settore del turismo e l’assenza di pellegrinaggi li condanna ad una povertà ancora maggiore». Perché la guerra è morte e fame. In Palestina si contano quelli che non tornano indietro dagli scontri, e di notte si tiene la testa vicino alla finestra. «Quando il lampione trema – spiega Mohammed, che dice di non aver mai preso parte alle battaglie -, vuol dire che ci sarà da scappare o battersi». Come il suo Jamal, che invece doveva stare alla larga. Nella cittadella dei morti, dentro al campo profughi, sventolano le bandiere delle falangi armate sopra ai tumuli dei «martiri». È così che li chiamano, senza distinguere tra i caduti in battaglia e quelli finiti in mezzo per sbaglio. Intorno, sul muretto di cinta coperto di calce, ci sono le immagini in posa dei militanti armati. Alcuni poco più che bambini. I più, ragazzi di vent’anni che sfoderano armi e facce da duri. Il mito del “partigiano” si alimenta del sangue dei Jamal, che quest’anno sono più di 400 in Cisgiordania.
Il cimitero della jihad a Jenin - Scavo
Nel camposando dei combattenti non c’è più posto: olte 400 morti nel 2023, più di 200 da quando è scoppiata la guerra - Scavo
Uno dei cimiteri per i “martiri” delle milizie che combattono contro Israele - Scavo
Le incursioni dell’esercito israeliano hanno distrutto anche il luogo-monumento in cui un anno fa venne uccisa Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese e cristiana di al-Jazeera - Scavo
Il padre di Jamal prega sulla tomba del figlio di 15 anni, “ucciso da un drone israeliano perché lanciva sassi ai soldati” - Scavo
Quattro ragazze pregano sulla tomba del padre, ucciso da un proiettile vagante durante gli scontri a Jenin - Scavo
Come i pastori di Betlemme, che da duemila anni stavano li a pascolare accanto alla cappella che ricorda l’annuncio che ricevettero nella Notte Santa. I nuovi insediamenti sono arrivati fino a lì, e gli allevatori se ne sono dovuti andare. O come a Ramallah, dove i coloni sono piombati perfino a ridosso di un vecchio campo profughi e la gente non può andare neanche a visitare i defunti, perché la strada è stata chiusa e i proiettili arrivano prima dell’altolà. Là è arrivato ieri il procuratore dell’Aja Kharim Khan, che indaga sui crimini di Hamas ma non esclude di investigare anche su Israele. A uccidere sono però anche i muri. «Betlemme è una città chiusa e separata da Gerusalemme. Separare Gerusalemme da Betlemme - dice fra Patton - non è mai successo nella storia. Quanto sta accadendo, allora, ci aiuti a riscoprire il valore più autentico e spirituale del Natale, ma anche il desiderio di riedificare l’uomo».