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L'incursione. Zar Putin alza il tiro delle accuse: missile Usa contro il ponte a Kursk

Lucia Capuzzi sabato 17 agosto 2024

L'esplosione del ponte sul fiume Seym da parte di Kiev

A Kursk è in corso una doppia battaglia. E quella per avanzare, un chilometro alla volta, oltreconfine, è la meno importante. Nonostante anche ieri abbia ribadito di «avere rafforzato le posizioni nella regione», Volodymyr Zelensky è consapevole che, al di là dell’ampiezza della superficie conquistata, difficilmente, la sortita in territorio russo delle truppe ucraina difficilmente cambierà il corso strategico del conflitto. La narrativa, però, è già mutata: confinata in un angolo per mesi, ora Kiev appare in posizione d’attacco. Il primo a rendersene conto è proprio Vladimir Putin. La sua reazione lo dimostra. Dopo essere stato costretto per giorni a improvvisare, lo zar ha risposto come fa di solito quando si sente incalzato. Passando, cioè, al contrattacco. Non tanto di Kiev, bensì degli alleati occidentali. Dopo l’affondo di ieri dell’assistente presidenziale, Nikolaij Petrushev, ieri, è intervenuta Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri. Stavolta si è scagliata contro la distruzione del ponte sul fiume Seym, nel distretto di Glushkovo, colpito «molto probabilmente con missili Himars di fabbricazione statunitense». Nel raid – ha aggiunto – sono stati uccisi i volontari che collaboravano all’evacuazione di ventimila civili dall’area. A dare la notizia dell’abbattimento del ponte erano state in principio le forze armate ucraine. Il comandante dell’aviazione, Mikola Oleshchuk, aveva diffuso via Telegram il video dell’esplosione dell’infrastruttura che rappresenta un duro colpo per la difesa russa.
IlCremlino – che, in genere, fa di tutto per minimizzare l’impatto dell’operazione – ha confermato la notizia, utilizzandola, però, a sua volta, come arma contro Washington al fine di dimostrare il “salto di qualità”. In Ucraina, Usa e Nato non combatterebbero più una “proxy war” contro Mosca, ormai lo scontro sarebbe diretto e oltretutto in territorio russo. Lo spettro delle conseguenze indesiderate dall’Occidente dovrebbe – questa la speranza di Putin – spingere gli alleati a frenare Kiev. Puntare il dito contro l’America, oltretutto, rimarginerebbe la ferita inferta all’orgoglio nazionale dall’incursione di un nemico con forze evidentemente inferiori. Una tattica rivolta alla propria opinione pubblica per cui l’attacco ha rappresentato uno choc. Dopo due anni e mezzo di normalità apparente, i russi si sono trovati la minaccia in casa. Non è solo l’area di Kursk ad essere coinvolta. Il timore è che il nuovo scenario muti le regole di ingaggio militari spedendo al fronte anche i soldati di leva, finora esclusi. Putin lo ha fatto per evitare il contrasto con le famiglie, la cui opposizione fu determinante ai tempi del conflitto in Afghanistan o di quello in Cecenia. Ora, però, potrebbe cambiare parare. L’opposizione ha già denunciato la presenza di un gruppo di una ventina di coscritti nella zona di Kusk.
Nel contrattacco, rientra anche l’accanimento contro i giornalisti “colpevoli” di aver raccontato l’incursione. L’intelligence russa ha reso noto di avere aperto un procedimento penale nei confronti degli inviati del Tg1 Stefania Battistini e Simone Traini responsabili di «avere attraversato illegalmente il confine». Nel mirino anche il giornalista della Cnn Nick Paton Walsh. Nonché le rinnovate accuse agli ucraini di volere attaccare la centrale atomica di Kursk e di avere sviluppato una “bomba sporca” per disperdere i rifiuti radioattivi, con il rischio di causare un disastro. Affermazioni respinte al mittente da Kiev. «Non abbiamo né l’intenzione né la capacità di compiere azioni del genere», ha affermato il ministero della Difesa. In realtà, a interessare a Kiev è un’altra infrastruttura strategica: la stazione di misurazione di gas destinato all’Europa. L’impianto meglio attrezzato dei cinque che tuttora trasportano l’idrocarburo attraverso l’Ucraina. Finora, nonostante gli scontri, il gas ha continuato a fluire normalmente: nessuna delle due parti vuole rinunciare ai proventi del transito: 800 milioni di dollari per Kiev, almeno 7 miliardi per Mosca. Proprio la necessità di salvaguardare i siti per la produzione di energia aveva spinto i due nemici a decidere di negoziare, in segreto, un accordo a Doha a partire dal 22 agosto. La trattativa – il cui fine era una tregua parziale – sarebbe, però, saltata a causa del blitz delle truppe ucraine su Kursk. A rivelarlo è il Washington Post che cita diplomatici e funzionari a conoscenza delle discussioni. La speranza era che i negoziati indiretti tramite il Qatar potessero portare a un’intesa più completa per porre fine alla guerra. Le fonti, tuttavia, precisano che la Russia non avrebbe cancellato i colloqui. «Ha detto di darci tempo». Le parti non hanno confermato la notizia, né lo ha fatto la Casa Bianca, coinvolta nell’iniziativa