Intervista. Kerry Kennedy: è l'etica l'eredità di mio padre
Kerry Kennedy, la settima figlia del senatore americano Robert F.Kennedy in questi giorni è in Italia per partecipare a Circonomia, il festival dell’economia circolare e delle energie dei territori. Al Festival discute con altri esperti di «Crescita senza prosperità, prosperità senza crescita» e presenta il documentario «Robert Kennedy Remembered» di Charles Guggenheim. Si parlerà anche di «Parola di Bob», il libro, con prefazione del direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, che raccoglie e analizza i più celebri interventi di Robert F. Kennedy, il senatore, fratello di Jfk, e come lui fu assassinato per le sue idee politiche. La presidente del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights - nonché presidente onorario della organizzazione italiana Robert F. Kennedy Foundation of Europe - è autrice di diversi best seller e lavora sui diritti umani dal 1981.
Neanche per un istante la sfiora il pensiero di dire basta. Di rivoltarsi contro la politica che le ha portato via il padre a nove anni. Kerry Kennedy, settima figlia del senatore Robert, assassinato nel ’68 (cinque anni dopo il fratello Jfk) non teme la maledizione dei Kennedy ma quella della politica che, cinquant’anni dopo, ha perso ogni «immaginazione morale», come ci racconta la presidente del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights, in questi giorni in Italia per Circonomia, il festival dell’economia circolare.
Nel 1968, Bob Kennedy mise in croce il Dow Jones e il Pil, in un celebre discorso che anticipava le idee dell’economia circolare e del Bes. Quant’è attuale il suo insegnamento?
Non era solo un discorso di rottura: mio padre non si limitava a contestare che il Pil fosse calcolato sulla vendita di armi, ma che non recepisse altri valori, come la bellezza della poesia o il coraggio delle persone. Misurava tutto tranne quello che rende una vita degna di essere vissuta. L’obiettivo dell’economia circolare è anche quello di riallinearne la misurazione con valori che rendono degna la vita.
Non pensa che in 50 anni di capitalismo, tutto sommato, sia cambiato poco?
Credo che i cambiamenti ci siano stati. Intanto, in questi cinquant’anni si è affermata la responsabilità sociale delle imprese, ma già nel 1968 si sviluppò un movimento di protesta contro la società che produceva il napalm e questo movimento utilizzò un’arma non violenta, che consisteva nel promuovere il disinvestimento in Borsa. Da allora, abbiamo individuato altri sistemi di pressione per spingere le imprese a rispettare i diritti.
Quindi il cambiamento è nel metodo e la vera eredità è la non violenza?
Bob Kennedy era un grande sostenitore della non violenza in politica: il suo messaggio – pace, giustizia e attenzione per chi soffre – è attualissimo e se dovessi candidarmi sarebbe il mio programma.
Sta facendo un pensierino alla Casa Bianca?
Nessun annuncio. Semplicemente, noi Kennedy abbiamo la politica nel sangue, tant’è che siamo in 36 tra figli e nipoti impegnati politicamente…
Ma i Kennedy vincevano le elezioni, mentre ora le vince Trump.
A essere precisi la maggioranza dei voti li ha presi Hillary Clinton. Le elezioni Usa sono viziate da una alta dispersione e l’elettore spesso non vota seguendo i propri interessi; ma soprattutto questo voto riflette la rabbia di un Paese piegato dalla crisi, che chiedeva un cambiamento e ha creduto in chi glielo ha promesso con spregiudicatezza. Il modo più semplice per prendere i voti è accarezzare la rabbia e le paure della gente, ma i democratici hanno un’etica politica diversa. Per un democratico ovunque il sistema socioeconomico – non le singole aziende – produca sofferenza, lì deve intervenire lo Stato. Per un repubblicano, invece, lo Stato è il nemico.
Belle idee. Ripeto: cercasi leader.
Ce n’è uno che sta guidando l’umanità in questa direzione ed è papa Francesco. Il suo impegno per allineare i valori umani ad un’economia sostenibile è sotto gli occhi di tutti e mio padre ne sarebbe stato entusiasta. Entrambi sono animati dalla stessa immaginazione morale. Cos’è? È la propensione che gli permetteva di comprendere gli altri, di capirne le ragioni, non solo razionalmente. Di avvertire cosa volessero davvero e dove nascessero le loro priorità, andando incontro a loro con una dose di coraggio non comune. Con quella immaginazione morale capì che l’industria bellica sovietica voleva la guerra ma non la voleva Kruscev e, all’epoca della crisi cubana, evitò una guerra mondiale. Con quell’immaginazione morale si presentò alla folla dei funerali di Martin Luther King e spiegò che capiva la loro rabbia, perché aveva pianto anche lui un familiare ucciso per le sue idee. Quale politico avrebbe questo coraggio?