Pechino in Africa. Il Kenya si è ribellato per primo alla «trappola cinese» del debito
Il viaggio inaugurale della linea Nairobi-Mombasa nel 2017 costruita con capitali cinesi
Sull’onda delle promesse elettorali fatte dal neo-eletto presidente keniano, William Ruto, il Kenya è il primo Paese africano a ribellarsi contro la cosiddetta “trappola del debito” cinese. Al centro del contenzioso c’è la controversa Ferrovia a scartamento standard (Sgr), un progetto di 4,7 miliardi di dollari avviato nel 2014. Secondo la recente sentenza della Corte Suprema nella capitale keniana, Nairobi, la più grande economia dell’Africa orientale «non poteva sottrarsi» ad alcuna delle condizioni imposte dalla Cina.
Per volere di Ruto, una parte dei documenti legata al progetto è stata resa nota nelle ultime settimane dalle autorità locali. Documenti che dovevano rimanere segreti come spesso succede con i progetti cinesi di questa portata. Invece, il velo che celava gli investimenti di Pechino attraverso l’intero Continente nero è stato squarciato per la prima volta.
«È un gesto significativo verso la trasparenza», ha affermato alla stampa Cobus van Staden, caporedattore del China global south project, un'organizzazione editoriale che studia la relazione tra Pechino e l'Africa.
«Se rendessero noti tutti i dettagli probabilmente aumenterebbero le pressioni per rinegoziare il prestito. Per i nuovi governi che affrontano prestiti stabiliti dai loro predecessori – ha aggiunto van Staden –, questo potrebbe essere un precedente interessante». Tra le varie condizioni del contratto con la China road and bridges corporation (Crbc) c’è l’impossibilità da parte del Kenya di indire gare d’appalto legate all Sgr, l’obbligo di ripagare subito il prestito in caso di violazione delle regole d’appalto, e un tasso di interesse del prestito superiore a quello che si stabilisce tipicamente in un accordo tra due governi.
«Nonostante sia stato negoziato come un progetto da governo a governo in cui ci si aspetta una relazione simbiotica – ha commentato l’economista keniano, Tony Watima –, la Cina ha fatto in modo che tutti i rischi fossero assunti dal contribuente keniano».
Simili preoccupazioni sono sorte nell’affare dell’aeroporto ugandese di Entebbe, quando per un certo periodo si pensava che, in caso di default da parte dell’Uganda, l’aeroporto sarebbe diventato di proprietà cinese. Sebbene sembra che questo non sia il caso, i dettagli del contratto rivelati recentemente stabiliscono che ci sia «un deposito in contanti su un conto a garanzia che la Cina può sequestrare in caso di inadempimento contrattuale» e che «tutte le entrate generate dall'aeroporto internazionale di Entebbe siano utilizzate per rimborsare il prestito in via prioritaria per i prossimi 20 anni» Con 282 miliardi di dollari nel 2022, la Cina è diventata il principale partner commerciale del Continente africano.
Nel 2021, al Forum Cina-Africa svoltosi nella capitale senegalese, Dakar, Pechino ha siglato un accordo di «10 miliardi di dollari in investimenti diretti esteri (Ide) per prossimi tre anni» in ogni regione dell’Africa. Il Paese del Drago continua a costruire infrastrutture, spesso di bassa qualità, per saziare la sua sete di materie prime. Una sete senza limiti.
«Il leader Xi Jinping ha compiuto 10 visite in Africa tra il 2014 e il 2020 – afferma l’istituto britannico, Chatham House –. Mentre il nuovo ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, ha visitato 5 Paesi africani e l'Unione Africana nel solo gennaio e Wang Yi, l'ex ministro degli esteri, ha visitato 48 Paesi africani durante il suo mandato».
Visite a cui si accodano centinaia di uomini d’affari cinesi pronti a firmare accordi per salvaguardare gli interessi della madre patria.