LIBERTA' RELIGIOSA. Strage di cristiani in Kenya Vaticano: «Violenza orribile»
Ancora una domenica di sangue per i cristiani in Kenya dove 17 fedeli sono rimasti uccisi e almeno 50 sono rimasti feriti in un duplice attentato compiuto in due chiese di Garissa, città nel nord del Paese, vicino al confine con la Somalia. Gli attacchi si sono verificati quasi in simultanea presso la cattedrale cattolica della città e in una piccola chiesa cristiana appartenente alla congregazione Africa Inland Indipendent Church (Aic). Il bilancio più grave è stato registrato in quest'ultima dove uomini armati e mascherati, prima di fare irruzione all'interno, hanno attaccato e ucciso due poliziotti in servizio e si sono impossessati dei loro fucili usandoli, subito dopo, per uccidere i fedeli raccolti in preghiera."Eravamo in un momento di silenzio, poi abbiamo udito un violento boato provenire dal tetto e, successivamente, colpi d'arma da fuoco. Alcuni uomini sono entrati in chiesa, ci hanno ordinato di sdraiarci e poi hanno cominciato a sparare. Tutti gridavano e tanti si lamentavano per il dolore", ha raccontato David Mwange, uno responsabili della chiesa di Garissa.E mentre nella piccola congregazione cristiana si consumava la tragedia, a poche decine di metri, nella cattedrale cattolica, una granata esplodeva ferendo tre persone. Il duplice attentato segue quello messo a segno lo scorso mese di aprile a Nairobi, nella chiesa della congregazione Casa dei miracoli di Dio, poco prima dell'inizio della funzione religiosa che provocò un morto e decine di feriti.Tra le prime personalità ad esprimere dolore per gli attacchi è stato Sheikh Mohammed Khalifa, del Consiglio degli Imam e Predicatori del Kenya (Cipk), che ha condannato con forza gli attacchi terroristici. "Qualunque persona timorata di Dio non festeggerà mai la morte di persone innocenti che si riuniscono per pregare Dio", ha detto ai media locali il rappresentante dei musulmani in Kenya. E il presidente del Consiglio Supremo dei musulmani del Kenya, Abdulghafur El-Busaidy, ha invitato a rispettare "chiese, moschee o templi".Anche il Vaticano ha levato la sua voce. La strage dei cristiani a Garissa è stata definita dalla Santa Sede "un fatto orribile e molto preoccupante". "Sembra che fra i gruppi terroristi l'attacco ai cristiani riuniti la domenica nei loro luoghi di culto sia diventato un metodo considerato particolarmente efficace per la diffusione dell'odio e della paura", ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ai microfoni della Radio Vaticana. Secondo il direttore della sala stampa vaticana, "la viltà della violenza nei confronti di persone inermi riunite pacificamente in preghiera è inqualificabile. Occorre riaffermare e difendere decisamente la libertà religiosa dei cristiani", ha concluso Lombardi.CARD. NJUE: NO GUERRE DI RELIGIONE, PROMUOVERE LA COESISTENZA"Ingiustificabii atti di violenza" che non portano solo alla "perdita di vite innocenti", ma pure "creano un senso d'insicurezza tra i cristiani e tutti i kenioti che amano la pace". Il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza episcopale del Kenya, a nome di tutti i vescovi del Paese si dice "fortemente preoccupato" per gli attacchi omicidi avvenuti domenica. Il porporato, citato dal Sir, riafferma che "non è una guerra di religione", ma è "turbato per il fatto che gli attacchi siano stati sferrati a Chiese cristiane", e invita tutti a "lavorare per la promozione di una coesistenza pacifica". Il card. Njue esorta a "restare vigilanti" e "cooperare" con le forze di sicurezza, ricordando che "combattere il terrorismo, l'estremismo e l'insicurezza" non è solo compito delle agenzie preposte alla sicurezza, ma "dovere di ciascuno e tutti i kenioti, perché terroristi e criminali operano in mezzo a noi". Rivolgendo le "condoglianze" ai parenti e agli amici delle vittime e "pregando per un rapido ristabilimento" dei feriti, il presule chiede infine al governo e alle agenzie per la sicurezza di "tracciare una strada da seguire che garantisca la sicurezza di tutti i kenioti".IL VESCOVO DI GARISSA: REAZIONE A QUANTO NOSTRO GOVERNO FA CONTRO SHABAAB"Non penso che si tratti di un problema religioso, ma di una reazione per mettere in imbarazzo il governo di Nairobi per quello che l'esercito keniano sta facendo in Somalia contro gli Shabaab". Così mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa, commenta quanto accaduto domenica. Mons. Darmanin descrive gli attacchi all'agenzia vaticana Fides: "Intorno alle 10,30 del mattino ora locale, sono state lanciate contro la chiesa di Nostra Signora della Consolata due bombe a mano, delle quali solo una è esplosa di fronte all'edificio, non al suo interno, provocando alcuni feriti leggeri". "Alla African Inland Church l'attacco è stato più letale. Gli assalitori - prosegue - dopo aver ucciso due soldati che montavano la guardia al luogo di culto, hanno gettato alcune bombe a mano all'interno dell'edificio dove i fedeli erano riuniti per la funzione religiosa. Lo scopo era farli fuggire fuori, dove sono stati colpiti con gli AK 47 presi ai soldati. Si è trattato di un attacco ben organizzato nel quale almeno 16 persone sono morte e diverse sono ferite gravemente". Il vescovo ritiene che la pista più probabile sia quella politica: "Gli Shabaab avevano minacciato rappresaglie per le operazioni condotte dall'ottobre 2011 dall'esercito del Kenya in Somalia. Ora che l'esercito di Nairobi ha accresciuto la pressione su Chisimaio, la loro ultima roccaforte nel sud della Somalia, gli Shabaab hanno aumentato le minacce di colpire in territorio keniano". "Garissa non è lontana dal confine con la Somalia", continua mons. Darmanin. "Il confine è facilmente attraversabile nonostante il governo stia facendo del suo meglio per controllarlo". E a proposito del perchè, se il movente di questi assalti è politico, si colpiscano le chiese, il vescovo sottolinea che "le chiese sono attaccate perchè sono bersagli facili da colpire ('soft target'). Inoltre la popolazione locale è quasi totalmente musulmana, i cristiani sono keniani provenienti da altre zone del Paese, che sono considerati come stranieri almeno da una parte della popolazione autoctona".