Intervista. «I motivi della rabbia in Kazakistan nascono all'interno»
Truppe kazake schierate sul viale principale di Almaty durante un rastrellamento a caccia di ribelli
«Io non so se ci siano state o meno delle interferenze esterne: ma non vi è alcun dubbio che quello che sta avvenendo in Kazakhstan, paese tutt’ora a forte struttura tribale, è un passaggio interno: l’avvicendamento storico tra vecchi e nuovi clan».
Giovanni Capannelli il Kazakistan lo conosce bene. Ci vive da molti anni, prima come responsabile della sede locale della ADB, la Banca Asiatica per lo Sviluppo, ora come senior adviser della Banca centrale. Insomma, uno che le cose le sa, e le sa anche spiegare bene.
«Dobbiamo andarci cauti con i giudizi affrettati, le analisi superficiali, la tendenza ad internazionalizzare le crisi. Le crisi vanno marginalizzate, contestualizzate: e quella in cui è attualmente precipitato il Kazakistan è un caso tipico. Si cercano attori esterni, si disegnano scenari apocalittici, anziché approfondire la situazione interna».
E dunque? Qual è la sua lettura? Cosa sta succedendo in questo Paese così ricco di risorse ma non ancora sviluppato dal punto di vista delle istituzioni e della «governance», come si usa dire oggi?
Ecco, il punto è proprio questo. Nonostante nell’ultimo secolo il Paese si sia dato una struttura anche urbana, la popolazione, dirigenti compresi, sono ancora legati alla tradizione nomade. E all’appartenenza ai clan. Fin dai tempi del’Urss il clan dominante era quello rappresentato da Nursultan Nazarbaiev, che da membro del governo sovietico era diventato il primo presidente della nuova Repubblica indipendente. E ci è rimasto ininterrottamente, fino a quando nel 2019 si è dimesso scegliendo il proprio delfino, l’attuale presidente Kassym-Jomart Tokayev. Doveva essere un passaggio indolore, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato, e nonostante Tokayev abbia pian piano sostituito tutti i fedelissimi di Nazarbayev, qualcuno si è ribellato».
E quel qualcuno chi è? E da chi potrebbe essere stato aiutato?
Escludo che ci sia un piano preciso, la protesta è scoppiata per i rincari delle bollette, ma ha trovato terreno fertile tra tutti coloro che non si ritengono soddisfatti da questo avvicendamento “guidato”. Ma escluderei interferenze esterne. Tranne forse, qualche fondamentalista delle scuole salafite, a suo tempo indottrinati e istruiti in Siria.
La Russia, legata da un patto di sicurezza regionale, è stata chiamata da Tokayev e ha già mandato le sue truppe. Cosa prevede nei prossimi giorni? Le proteste continueranno o rientreranno?
Difficile prevederlo, ma la determinazione con cui il governo ha reagito fa pensare che non sia disposto a cedere. Esercito e polizia sono stati autorizzati a sparare sulla folla, ed il governo ha imposto il coprifuoco in tutto il Paese. Sembra che la situazione sia sotto controllo.
Certo la Russia e suo coinvolgimento «storico». E la Cina? Ha o potrebbe avere un ruolo?
Pechino ha enormi interessi, nel Kazakhstan ed in tutta le regione. Ci passa la cosiddetta «ferrovia della seta», il grande progetto One Belt One Road. Certo la Cina è presente, ma più dal punto di vista economico e finanziario che di quello politico. Il pallino è nelle mani della Russia, oltre che del popolo kazako, ovviamente.
E l’Europa?
Riprendere il dialogo con la Russia, innanzitutto. Un dialogo costruttivo, che superi la politica delle sanzioni, che non hanno mai funzionato e alle quali personalmente non credo, e prenda atto, pur con tutte le cautele, di una realtà dalla quale non si può prescindere. Che la Russia c’è ancora e ha tutte le intenzioni di rivendicare il suo storico ruolo di potenza regionale, se non globale.