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Tunisia. E la «fromagerie» batte il Covid: il futuro è una start up

Luca Geronico venerdì 14 agosto 2020

Moukaf Moudhaffer dietro il bancone di “Buona Terra” nella città di Tabarka

Mouakaf aspetta i clienti, sperando che dopo la riapertura delle frontiere dello scorso 27 giugno, riprenda anche un po’ di turismo internazionale. Ma in fondo, di stranieri in quel lembo di Tunisia, non ne hanno mai visti molti. A Tabarka meglio puntare sulle proprie risorse e sul mercato interno, anche se da metà marzo a fine aprile quasi nessuno ha varcato la soglia di “Buona Terra”, il suo laboratorio per la produzione di formaggi: «Non riuscivo a coprire i costi di gestione e ho chiesto una sospensione nel pagamento dell’affitto per i mesi di aprile e maggio». Due mesi in perdita, mentre a maggio è riuscito a coprire i costi di gestione della sua piccola impresa.
E così anche le start-up – una quarantina di progetti che il Cefa di Bologna (Focsiv) sta sostenendo o avviando – sono andate in “lockdown”. O meglio, come tutti in Tunisia, hanno subito la serrata generale. Qui, come in tutta la Tunisia il Covid-19 – in tutto poco più di 1.700 casi accertati e 51 decessi – non è per fortuna sinonimo di una emergenza sanitaria ma soprattutto di crisi economica.
Il turismo, asse dell’economia del Paese, ha visto calare i suoi introiti del 56% in un anno e il Fondo monetario internazionale prevede una contrazione del Pil annuo della Tunisia di almeno il 4% – la «peggiore recessione dai tempi dell’indipendenza nel 1956» – mentre i consumi della famiglie si sono ridotti dell’8%. Solo nella zona costiera si calcola che siano stati persi 400mila posti di lavoro, con una disoccupazione schizzata dal 15 al 21%. Inevitabile quando si vive alla giornata, o con piccole imprese familiari: “lavoratori informali”, si dice oggi.
Anche a Tabarka, a tre ore di macchina da Tunisi, sulla costa che porta alla frontiera con l’Algeria, quasi nessuno ha un lavoro sicuro. Ma Mouakaf Moudhaffer (32 anni), non vede l’ora di ricominciare, con la “fromagerie” già aperta. Fino a qualche anno fa produceva formaggio artigianale a casa con i pochi mezzi che aveva a disposizione: un calderone e un fornelletto a gas nel centro della cucina della madre dove faceva cuocere il formaggio, mentre un vecchio frigo era stato trasformata in una rudimentale yogurteria.
Grazie al progetto del Cefa, ha potuto ristrutturare un vecchio locale ora adibito a laboratorio con l’attrezzatura essenziale. Un finanziamento di poco più di 7mila euro monitorato dallo staff della Ong italiana e tanto, tanto lavoro: «La ristrutturazione del nuovo locale e un corso di formazione con un casaro tunisino, ma specializzatosi in Italia, fatto venire apposta a Tabarka», spiega Chiara Zazzaroni, capo progetto del Cefa in Tunisia. E così, assieme alle mozzarelle e a una sorta di primo sale che qui chiamano “sicilienne”, sul bancone di “Buona terra” sono comparsi i primi bocconcini di mozzarella e le burrate. Prodotti da diversificare ancora di più in futuro, anche grazie a dei corsi di avviamento al commercio. Una crescita lenta, ma continua in due anni: Mouakaf aveva già reinvestito nel lavoro tutti i suoi guadagni e assunto una dipendente con tanto di contratto. E ha affittato un locale adiacente al laboratorio per creare un piccolo spazio ristoro dove far degustare, in collaborazione con altre micro-aziende sostenute da Cefa, oltre che i suoi formaggi, miele ed altri prodotti locali. Pure il latte è acquistato da un’altra start-up sostenuta dal Cefa, che alleva mucche in una struttura adiacente al suo laboratorio. «Durante la forzata attività mi sono dedicato alla ricerca di nuovi fornitori di latte per poter garantire la quantità giornaliera sufficiente per il periodo di maggior produzione», spiega. E il prossimo obiettivo, recessione permettendo, è l’acquisto di un pastorizzatore per ampliare la produzione.
Tunisi è a tre ore di macchina e la crisi politica con il premier incaricato Hichem Mechichi che prosegue estenuanti consultazioni, pare come sfumata. L’isola di Kerkennah, nuovo hub della rotta dell’immigrazione dalla Tunisia a Lampedusa, pare ancora più lontano dei circa 400 chilometri di strada. Nel 2020 sono stati quasi 6mila, sui 14mila arrivati in Italia, i migranti partiti dalla Tunisia. Ma Mouakaf, a Kabarka, da giugno ha ripreso l’attività a pieno ritmo. Appena possibile c’è un pastorizzatore da acquistare.