Quando, il 7 ottobre, il Comitato di Oslo gli ha attribuito il
Premio Nobel,
Juan Manuel Santos lo ha
accettato a nome delle vittime di oltre mezzo secolo di guerra. “Colombiani che avete tanto sofferto, questo premio è vostro”, ha detto. Tre giorni dopo, il presidente della
Colombia ha dato seguito a quelle prime parole, pronunciate sull’onda dell’emozione.
Dal Bajayá, dove si è recato per ricordare i 119 uccisi in un attentato delle
Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (
Farc), il leader ha
annunciato la devoluzione degli oltre 800mila euro del
Nobel per la Pace a coloro ai quali il conflitto ha strappato parenti, terre, dignità. Circa otto milioni di persone, tra cui 260mila morti, 45mila desaparecidos e oltre sette milioni di sfollati interni.
I fondi verranno assegnati a enti e fondazioni che si incarichino degli interventi nel lungo dopo-guerra. La sfida più urgente, ora, però, è far ripartire il processo di pace, incagliato dopo il referendum che, il 26 settembre, ha bocciato l’accordo tra governo e guerriglia. I giurati norvegesi hanno detto auspicato che il riconoscimento – attribuito al principale artefice del negoziato – faccia superare l’empasse.
Le parti hanno già accettato di “
ritoccare” l’intesa in modo da renderla accettabile alle forze politiche che hanno guidato la campagna del no. Solo un accordo con queste ultime – e un voto ampio in Congresso – può consentire a
Bogotà di “bypassere” i risultati della consultazione popolare. Santos punta a chiudere il patto prima del 10 dicembre, quando a Oslo ritirerà il
Nobel. In modo che questo non sia solo un premio alla “pace possibile” bensì alla “pace in costruzione”.