Ambiente. La vittoria degli attivisti climatici in Corea si deve anche ai bambini
I componenti del Korean Climate Crisis Emergency Network durante le proteste per chiedere al governo di Seul il rispetto della decisione della Corte Costituzionale sulla legge per il clima
Per i bambini in Corea del Sud è tutto più difficile. Sono costretti a crescere velocemente, con poche certezze, e un mondo che già mostra loro il conto di errori che non hanno commesso. Molti bambini che vivono a Seul vedono raffiche di vento passare e travolgere ciò che incontrano. Vedono uragani distruggere case e raccolti, lasciandosi alle spalle solo macerie e lacrime. Vedono tifoni rompere dighe, acqua e fango che si fa largo per le città e per i villaggi. Con occhi puri e genuini osservano dalla finestra i devastanti effetti del cambiamento climatico. Camminano con il capo chino per i sentieri incrostati di fanghiglia. Toccano con mano le rovine delle case abbattute. E non ci stanno.
Jean Han è una bambina di dodici anni che vive a Seul. A differenza di quanto possiamo immaginare, Jean non ha la certezza di vedere i suoi compagni di classe tutti i giorni: «I tifoni – racconta in un reportage da Seul del Guardian, nel quale si testimonia di come la generazione più giovane nel Paese abbia deciso di non rimanere in silenzio - mi hanno impedito di andare a scuola e il cambiamento del meteo spesso cancella le mie lezioni preferite di educazione fisica». Sostiene di aver sentito in prima persona le conseguenze del riscaldamento globale. Da quando ha dieci anni opera come attivista, raccogliendo i rifiuti dalle strade e riducendo quotidianamente l’uso della plastica. Tutte azioni, però, che non sembrano portare a un effettivo risultato: «Sembrava – dice – che il mondo non stesse cambiando in meglio». Sconfortata come molti altri, prende in mano la Costituzione e legge: «Tutti i cittadini hanno dignità e il diritto di perseguire la felicità», e punta il dito contro il Governo coreano, ritenuto responsabile di non agire per attenuare le conseguenze della crisi. Con lo sguardo rivolto in alto, come ad immaginare un ipotetico futuro, spiega: “Vorrei solo che il mondo rimanesse almeno com’è adesso…»
Di fronte a sfide più grandi di loro, la frustrazione di molti bambini e ragazzi, come Jean, si è trasformata in determinazione, spingendoli a cercare soluzioni non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nelle aule di giustizia, in una lotta che ricorda quella di Greta Thumberg e del movimento giovanile globale per il clima.
Jean si unisce alla “Youth for Climate Litigation” e inizia una campagna contro il Governo coreano. Il 13 marzo 2020 diciannove giovani attivisti hanno presentato una denuncia alla Corte costituzionale sostenendo che la legge nazionale sui cambiamenti climatici viola i loro diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita e a un ambiente pulito. Dopo oltre quattro anni di battaglie la Corte costituzionale si è pronunciata costringendo il governo a riformulare la legge sulla neutralità del carbonio e la crescita verde in quanto non conforme alla Costituzione.
Questo dimostra che la legge non contemplava obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni di CO2 dopo il 2031. L’Assemblea, in questo modo, ha tempo fino al 20 febbraio 2026 per modificare la legge. La decisione unanime della Corte ha segnato un punto di non ritorno spostando l’attenzione sulla salute delle generazioni future, a dispetto di altri interessi. Il rischio era di trasferire un onere eccessivo sulle loro spalle.
Hanna Kim ha solo otto anni, vive a Seongnam. Aveva appena iniziato la scuola elementare quando si è unita alla “Baby Climate Litigation”. Insieme ai membri dell’associazione, era contenta per la sentenza, ormai da tutti ribattezzata la «decisione epocale». «Ero così felice quando è uscito il verdetto – racconta - mia mamma piangeva». La madre Sunji Namgung ricorda il sorriso della figlia in quel momento, ma anche lo sguardo. «La Corte costituzionale ha ascoltato le voci dei bambini e degli adolescenti – sostiene Hanna -. Anche l’Assemblea nazionale e il governo devono ascoltare le nostre voci. Osserveremo e grideremo se questa promessa non verrà mantenuta».
Altri ragazzi più grandi hanno preso a cuore la questione. Hyunjung Yoon, di diciannove anni, si è resa conto che il solo picchetto a scuola non avrebbe portato ad alcun cambiamento e, a quindici anni, si è unita al gruppo “Youth Climate Litigation”. «Dobbiamo concentraci sulla salvaguardia dei nostri diritti, non solo sul raggiungimento dei numeri – afferma – la legislazione e l’amministrazione non dovrebbero ripetere i fallimenti del passato. Abbiamo bisogno di obiettivi a lungo termine». Con la sentenza della Corte, si sono gettate le basi per progressi futuri: «Non stiamo solo sensibilizzando sulla gravità della crisi climatica. Stiamo lottando per impedire che le vite delle persone scompaiano. Non vogliamo un mondo in cui sopravvivono solo coloro che hanno la capacità di essere al sicuro. Stiamo lottando per una società che controlla i rischi e garantisce la sicurezza per tutti senza escludere nessuno».
Da lontano potrebbe sembrare la trama di un romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami, dove i bambini, anziché giocare e andare a scuola, si trovano costretti a crescere troppo in fretta. In Corea del Sud, come altrove, è la cruda realtà.