Ibrahim ha posato piede nella sua Itaca alle 11 di un grigio mattino di fine ottobre. Il giubbotto non lo ripara a sufficienza dall’aria fredda di Malmö, città portuale nel sud della Svezia. Si stringe nelle spalle ed elenca, in punta di dita, le tappe della sua odissea dalla Siria prima e dall’Italia poi: lo sbarco in Sicilia, la sosta di qualche giorno a Milano, il viaggio in treno fino a Ventimiglia e il passaggio in Francia. Prima a Nizza e poi a Parigi.Da qui, con poco più di 80 euro, si può acquistare il biglietto dell’autobus che in meno di 24 ore collega la capitale francese con Malmö passando per Liegi, Bruxelles, Colonia, Amburgo e Copenaghen. Un viaggio che Ibrahim però non ha potuto affrontare in un sol balzo: come la maggior parte dei siriani sbarcati in Italia durante l’estate non ha passaporto, né i documenti in regola. Così, per non essere fermato dalla polizia, ha spezzettato il suo viaggio in varie tappe, arrestandosi prima di ogni frontiera per capire quale fosse il modo migliore per attraversarla.
Obiettivo ScandinaviaSolleva un’ultima volta le mani: «No fingerprints». Le autorità italiane non hanno preso le sue impronte digitali. Una fortuna che gli permette di chiedere asilo politico in Svezia, dove le condizioni di accoglienza per i rifugiati sono di gran lunga migliori rispetto a quelle che potrebbe trovare nel nostro Paese. A oggi sono poco meno di 12mila (11.701) i profughi siriani che hanno chiesto asilo politico in Svezia nel corso del 2013. Si vanno ad aggiungere ai 7.813 registrati nel 2012. Numeri che fanno del Paese scandinavo il più accogliente d’Europa. Soprattutto dopo il 2 settembre 2013, quando il Migration board ha deciso di concedere a tutti i profughi siriani un permesso di soggiorno permanente. Fra cinque anni, se lo vorranno, potranno ottenere la cittadinanza svedese.Le rotte verso il nordIl Migrationsverket (l’ufficio immigrazione) di Malmö, poco lontano dalla stazione, è il passaggio obbligato per chi vuole chiedere protezione. Il piccolo edificio di mattoni rossi è affollato e un gruppetto di persone si raduna anche fuori dall’edificio. Dana ha 18 anni ed è minuta per la sua età. Ha lunghi capelli castani e quando ride mostra le placchette rosa dell’apparecchio per i denti. Assieme alla madre e alla sorella sta formalizzando la domanda d’asilo: «Il viaggio in mare è stato bruttissimo, ci hanno rubato i cellulari. Ad altre famiglie soldi e gioielli». Non ricorda lo sbarco in Sicilia né le varie tappe del viaggio attraverso l’Europa: «Ci hanno fatto salire su un pullman e siamo partiti». Sa solo che ciascun membro della sua famiglia ha pagato 3.200 dollari per la propria personale Odissea.Alaa, un signore dalla barba sale e pepe, ben curata, che vive a Malmö ormai da sei mesi, la tappa a Milano se la ricorda bene. «Viene gente di tutti i tipi a proporti il viaggio verso la Svezia. E nessuno ti aiuta gratis», spiega. È solo una questione di soldi: chi ha buone disponibilità economiche si risparmia sofferenze e viaggi faticosi: «Andare da Istanbul a Stoccolma, in aereo, costa 9mila dollari. Per me e la mia famiglia era troppo», spiega. Quei soldi non li aveva e così ha optato per il viaggio via mare: 2.500 dollari per andare da Alessandria a Milano. «Il viaggio in mare è stato terribile: ho visto i trafficanti picchiare la gente, a un mio amico hanno spezzato i denti. Un altro si è rotto le gambe durante il trasbordo da una nave all’altra», racconta Alaa. Forse per questo decide di non rischiare oltre. Per 4.800 dollari ottiene quattro documenti falsi, passaporti greci. «Ci siamo imbarcati alla Malpensa e siamo arrivati qui. No, non ci hanno fermato. Nessuno ci ha detto niente».
Italia, Paese di passaggioIrregolari, ma non per scelta. Costretti piuttosto alla clandestinità da un regolamento europeo (2003/343/CE), il cosiddetto Dublino II, che scarica sui Paesi dell’Europa meridionale il peso maggiore dell’accoglienza. «Conosco la legge: se lascio le impronte in Italia poi non posso andare altrove a chiedere asilo», spiega un giovane siriano che vuole rifarsi una vita in Danimarca.Per chi fugge dal regime di Bashar al Assad e da una guerra che ha causato oltre 100mila morti, l’Italia è soltanto una tappa di un lungo viaggio. Nessuno vuole restarci perché il nostro Paese non offre condizioni di vita dignitose, né integrazione, né un lavoro. E così buona parte dei profughi sbarcati a Siracusa, Catania e Lampedusa hanno chiesto (e ottenuto) di non essere identificati. «Vogliamo andare in Svezia», era la frase ricorrente sulle labbra dei profughi siriani che hanno affollato i centri di prima accoglienza siciliani in questa lunga estate. E che a meno di 24 ore dallo sbarco, dopo essersi lavati e rifocillati, si rimettevano in viaggio.
Piccolo paradiso daneseMostafa, 21enne originario di Latakia, a Siracusa ci è rimasto ben poco. Giusto il tempo necessario per riprendersi dagli otto, lunghi giorni trascorsi in mare tra il Libano e la Sicilia. In treno ha raggiunto Milano e, dopo tre notti all’addiaccio, ha trovato la sua via di fuga: «Delle persone sono venute da me e dai miei amici e ci hanno proposto un viaggio in macchina fino a qui: 700 euro per arrivare in Danimarca, 900 euro per la Svezia». Venti ore di viaggio quasi senza soste e senza mangiare. Ma alla fine Mostafa è arrivato sano e salvo a Copenaghen.Nell’attesa che la sua domanda d’asilo venga esaminata, trascorre le sue giornate all’interno del centro di Sandholm, il più grande del Paese, immerso nella verde campagna danese a circa un’ora di treno dalla capitale. Vialetti ordinati collegano tra loro le varie strutture: spazi gioco per i bambini, un campo da basket, l’internet point. «Le casette gialle sono per gli uomini, quelle nere più grandi per le famiglie», spiega. La stanza che divide con altri tre ragazzi è luminosa, arredata in modo semplice ma dignitoso: quattro letti a castello, un comodino con qualche libro e una copia del Corano, un piano cucina in acciaio.
Le vie di fugaLasciare l’Italia, però, non è così facile. Safwan ha 37 anni e ad Hama faceva il macellaio. La guerra e i continui bombardamenti lo hanno costretto a scappare assieme alla moglie, ai due figli piccoli e al fratello. Da una decina di giorni ha trovato ospitalità nel centro d’accoglienza di via Novara, gestito dal Comune di Milano. Per due volte lui e la sua famiglia hanno provato ad andarsene: la prima in treno, ma sono stati fermati al confine con l’Austria e rispediti indietro. La seconda ha provato ad affidarsi a un
passeur, ma gli è andata male. Lo scafista si è intascato i soldi ed è sparito. «Mi sento come se il mondo ce l’avesse con me», dice aiutandosi con il traduttore automatico del cellulare.Dal mese di settembre la polizia austriaca, quella svizzera e la
gendarmerie francese hanno progressivamente intensificato i controlli in frontiera. Lasciare Milano in autobus o in treno è sempre più complicato. Solo dal Brennero sono state rispedite in Italia circa duemila persone. Una prassi prevista sulla base di un trattato bilaterale tra Roma e Vienna che prevede la «riammissione passiva» del migrante che ha varcato illegalmente la frontiera con l’Austria.In treno, ormai, non viaggia più nessuno. E anche alla biglietteria della stazione degli autobus di Lampugnano il numero di siriani che chiedevano un biglietto per Parigi è drasticamente diminuito. Parallelamente si è ingrossato il mercato dei
passeur, degli scafisti che ai vecchi pescherecci hanno sostituito utilitarie o piccoli furgoni per confondersi nel traffico e passare inosservati ai valichi di frontiera. Si va dagli 800 euro a persona per chi vuole raggiungere la Germania fino ai duemila chiesti ai siriani che vogliono arrivare nei Paesi scandinavi.Safwan però non si fida più di nessuno. Ha studiato un suo percorso che, in un certo modo, ricalca quello fatto da Ibrahim: Ventimiglia, Nizza, Parigi e così via. Passo dopo passo, lentamente. Frontiera dopo frontiera.