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L'escalation. Israele, il terrore ha sempre più la faccia dei ragazzini

Fiammetta Martegani, Tel Aviv mercoledì 15 febbraio 2023

La rabbia dei giovani palestinesi

Continua l’escalation di violenza: ieri nel campo profughi di Fara, vicino Nablus, l’esercito israeliano ha ucciso un diciasettenne palestinese che impugnava un ordigno esplosivo: l’episodio è avvenuto durante un’operazione nel campo dei militari. Il giorno prima, due adolescenti palestinesi – armati di coltello – hanno cercato di uccidere due giovani israeliani: li dividevano sono pochi anni di età. Il primo aggressore, 13 anni, nella Città Vecchia ha colpito un diciassettenne, ora in condizioni «stabili».

Il secondo, quattordicenne, a un checkpoint del campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme Est, ha pugnalato un soldato ventenne, di origine beduina, che ha perso la vita, colpito tragicamente da un collega che cercava di neutralizzare l’attentatore.

Ciò che più caratterizza quest’ondata di violenza è l’età dei giovani attentatori: la scorsa settimana tre israeliani, tra cui due fratelli di sei e otto anni, sono stati uccisi alla fermata di un autobus investiti dall’auto di un arabo israeliano, trentunenne. Anche gli esecutori dei due attentati di gennaio avevano, rispettivamente, 21 e 13 anni.

Nessun gruppo terroristico ha rivendicato direttamente gli attentati (anche se Hamas ha «esultato» esaltando i gesti, eppure, sia che i killer siano stati reclutati, sia che si tratti di schegge impazzite, questo fenomeno evidenzia il forte disagio della società palestinese, in particolar modo fra i giovani, ormai privi di speranza, anche a causa della totale mancanza di leadership nel loro fronte.

In risposta all’escalation, il premier Benjamin Netanyahu ha immediatamente convocato il Consiglio di sicurezza per preparare «un’operazione di ampio respiro diretta contro coloro che compiono atti di terrorismo, e i loro sostenitori».

Un avvertimento ben preciso che procede in parallelo con la legalizzazione di nuovi insediamenti nei Territori, manovra prontamente criticata dal segretario di Stato americano: «Ci opponiamo fermamente a tali misure unilaterali, che esacerbano le tensioni e minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati», ha dichiarato Antony Blinken.

E la rabbia delle donne palestinesi ai funerali del 17enne ucciso a Nablus - Reuters

Un doppio fronte si è però creato in Israele: da un lato l’offensiva terroristica e dall’altro lo scontro politico e sociale sulla riforma della giustizia voluta dal nuovo governo.

Per cercare di mediare sia sul fronte internazionale che su quello interno, il presidente Isaac Herzog ha rivolto un appello per scongiurare ulteriori episodi di violenza e ha proposto un «accordo di compromesso», esortando la coalizione a fermare la riforma proposta dal ministro della Giustizia Yariv Levin, che mira a indebolire drasticamente la Corte Suprema e non fa che confermare l’ulteriore passo indietro nei confronti del processo di pace, ormai eliminato dall’agenda dell’attuale coalizione.

Ma non dalla società civile israeliana che, da sei sabati – dal giorno del giuramento del nuovo esecutivo – si sta unendo sempre più numerosa per protestare nelle principali città israeliani. E mentre avvenivano gli ultimi attacchi, lunedì, era stato indetto uno sciopero generale, accolto sia da enti pubblici sia da imprese private, a cui hanno partecipato 250.000 cittadini in tutto il Paese: oltre 80mila hanno anche raggiunto la Knesset, il Parlamento, per ribadire la «difesa della democrazia».