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Israele. L'ultimo rullino di Daniel Darlington per raccontare gli "spariti" dei kibbutz

Lucia Capuzzi, inviata a Tel Aviv sabato 2 novembre 2024

Uno degli scatti dell'esposizione tratta dall'ultimo rullino di Daniel Darlington

La sera del 6 ottobre 2023, Daniel Darlington, 34 anni, avrebbe dovuto lasciare il kibbutz di Nir Oz, dove aveva trascorso le ultime settimane di vacanza nei luoghi di cui erano originari i genitori. Il volo da Tel Aviv per Berlino, dove risiedeva, era fissato per la mattina presto. Aveva, dunque, pensato di fermarsi in città dal fratello, Lior Peri. D’improvviso, però, si era palesata la possibilità di un passaggio mattutino. E Daniel l’aveva colta, per trascorrere una notte in più in quella che sentiva come «casa». Quelle ore regalate e impreviste si sono trasformate in un rullino di scatti, il modo in cui Daniel, fotografo professionista, si relazionava con i luoghi, le persone, la vita. Protagonista è Caroline Ball, migliore amica, modella, musa, arrivata insieme a lui dalla Germania.

Un viaggio senza ritorno, per entrambi. All’alba del giorno successivo, i miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nella comunità e l’hanno devastata per otto ore. Se ne sono andati prima dell’arrivo dei soccorritori, portandosi via 71 prigionieri. Alle spalle si sono lasciati una scia di 46 morti, tra cui Daniel e Caroline. Il rullino, però, si è salvato. E, grazie a un amico, è giunto nelle mani di Sharon Derhy, anche lei fotografa e moglie di Lior, nonché nuora di Chaim Peri, pittore e pacifista, sequestrato da Hamas e morto in cattività. La donna, dal 7 ottobre, custodisce la memoria delle vittime, trasformandola in arte. «Di Daniel e Caroline era rimasto solo quel rullino. Tutto il resto è stato rubato o bruciato. Ho visto le foto e le ho trovate una stupenda testimonianza di amore per la vita. Una passione semplice e dirompente. La più autentica denuncia dell’assurdità della violenza», spiega l’artista che, sulla base di quelle foto, ha allestito a Tel Aviv “Always reflecting, always learning”, “riflettere sempre, imparare sempre”, l’ultima frase appuntata da Daniel sul suo diario. Non c’è niente nell’esposizione della pomposa retorica, della cosiddetta “arte del 7 ottobre”, la serie di mostre, documentari, istallazioni, tour, promossi a livello ufficiale per trasmettere il ricordo dell’evento.

A mancare, soprattutto, è l’ossessione per i dettagli macabri e il manicheismo del racconto. «Ho cercato di sottolineare la potenza della vita. Abbiamo necessità, tutti, in Israele e nel mondo, di recuperare il senso della sacralità di ogni esistenza. È tempo di recuperare il cuore», sottolinea Sharon Derhy, una delle colonne del Forum dei familiari degli ostaggi. A questi ultimi ha dedicato “Missing from the frame”, “spariti dal quadro”, una serie di venti scatti che ritraggono una delle persone rapite insieme ai familiari e poi la stessa foto, rifatta nel medesimo luogo e posa, senza di lei. Le immagini sono tuttora esposte in varie città del Paese e all’estero. «Tutto è nato da un ritratto di Chaim e Lior, immortalati insieme nella veranda, poi Lior rimasto solo. Ho pensato che potesse essere un bel modo per descrivere lo strazio dell’assenza e ho chiesto alle famiglie di altri rapiti se volevano partecipare. È importante ricordare agli stessi israeliani i volti e le vite degli ostaggi. Troppi vogliono dimenticarli per proseguire questa terribile guerra. Prima del 7 ottobre, stavo lavorando a un progetto di collage di foto di varie piante di Nir Oz. Chaim mi stava aiutando. Componevamo dei vegetali immaginari che sembravano un tutt’uno. Solo avvicinandosi si scopriva che erano una composizione. Il titolo era Prahim Mukravim, “Fiori complessi”. Mai come ora è il tempo di recuperare la complessità".