Analisi. Biden e Netanyahu, ecco cosa potrebbe cambiare nelle relazioni Usa-Israele
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in piedi, con l'allora vicepresidente Usa Joe Biden a Gerusalemme. Era il 9 marzo 2010. Ora dovranno incontrarsi di nuovo, ma lo scenario è cambiato
Israele continua a seguire con attenzione i cambiamenti che potrebbero - o non potrebbero - essere innescati dalla svolta alla Casa Bianca. La conservazione degli “Accordi di Abramo” con i Paesi del Golfo, il destino delle annessioni in Cisgiordania (processi, questi, avviati da Donald Trump nei mesi scorsi) la questione Iran e le frizioni con l'ebraismo americano sono i punti nodali su cui si attendono le prime mosse di Biden.
«L’approccio del neo-presidente è, come prevedibile, controtendente rispetto a quello del suo rivale», commenta Dan Feferman, ricercatore per il Jppi (Jewish People Policy Institute), consulente strategico per l’Esercito israeliano, co-fondatore del Uae-Israel Business Council per la promozione dei rapporti commerciali e culturali tra Israele ed Emirati.
«Tuttavia, a causa della pandemia, non credo che Biden metterà in agenda una revisione degli equilibri regionali raggiunti sino a qui. Piuttosto, questo sì, dovrà adottare una precisa visione sull’Iran». Il Jcpoa, l’accordo sul nucleare stipulato nel 2015, con Trump era stato congelato: l’alleato oltreoceano vedeva in Teheran un enorme pericolo non solo per Israele ma per l’intera regione in cui, proprio in questi mesi, si sono consolidati legami di grande importanza strategica.
«Ma nell’epoca post-coloniale - sottolinea Feferman - non sempre i leader del partito democratico hanno orientato il loro mandato secondo la vecchia scuola di pensiero volta a garantire la supremazia americana nella mappa geopolitica internazionale. Se Biden decidesse di confermare l’orientamento progressive left del suo predecessore democratico - Obama - questo potrebbe creare forti preoccupazioni per la sicurezza dello Stato ebraico, e conseguenze sensibili sul piano dei rapporti bilaterali».
Bisogna attendersi, dunque, una certa freddezza, in futuro, sull’asse tra i due alleati, come è stato tra il premier Benjamin Netanyahu e l'allora presidente Obama? «Bibi è un uomo determinato, ed è innegabile che negli ultimi vent’anni, con l’ascesa del suo Likud, Israele abbia sempre preferito lavorare al fianco di un’Amministrazione repubblicana. Ma se, come credo, alla fine Biden dovesse scegliere un orientamento classic centrist, alla Clinton, optando per la via moderata, sia nella politica interna che in quella internazionale, si troverà sicuramente un terreno comune su cui confrontarsi».
C’è poi un ultimo aspetto centrale da seguire. «Molti - conclude Feferman - si aspettano, lecitamente, viste le note doti di mediatore riconosciute a Biden, che sappia ricucire quella ferita, aperta dal suo antagonista, con gli ebrei americani», cha hanno una visione decisamente più liberal di Netanyahu. Una questione cruciale, nel lungo periodo, soprattutto in merito al diverso approccio nei confronti del processo di pace tra israeliani e palestinesi, e che potrebbe portare a un passo indietro rispetto alle annessioni, e a uno avanti verso la soluzione a due Stati.