L'analisi. La guerra e il baratro dei costi: Israele brucia anche il suo Pil
La guerra a Gaza sta pesando in modo esorbitante sulle casse di Israele
Drammi umani ed economici si sommano, perché le guerre hanno un impatto devastante non solo sulle persone, ma anche sui beni. Il conflitto a Gaza non fa eccezione ed è un salasso per entrambi i contendenti. Più a lungo durerà e maggiore sarà il danno, anche per Israele, soprattutto se si profilasse un’occupazione postbellica della Striscia. I dati finora disponibili, parziali e frammentari, sono già allarmanti: i primi 100 giorni di guerra, quando Israele teneva sotto le armi 350mila riservisti, costavano all’erario 260 milioni di dollari al giorno, equivalenti a un miliardo di shekel, un punto e mezzo di ricchezza nazionale. Con la smobilitazione parziale, coincisa con una fase meno cruenta delle operazioni, la fattura si è dimezzata, ma la Banca centrale israeliana stima che il conflitto distruggerà un punto di ricchezza anche nel 2024 e che costerà fra il 2023 e il 2025 quasi 56 miliardi di dollari. Solo quest’anno, muovere le armi, usarle, retribuire i riservisti e sussidiare gli sfollati assorbirà 19 miliardi, un’enormità per un’economia che produce poco più di 500 miliardi l’anno.
E quei soldi, sottratti ad altre voci di spesa, fanno prevedere aumenti di tasse, a detrimento del benessere generale. Osserva l’agenzia Bloomberg che, per coprire il deficit esploso con la guerra (4,4% del Pil nel 2023 e 6,6% nel 2024), Israele dovrà finanziarsi sui mercati, emettendo titoli per 58 miliardi di dollari, in un contesto in cui l’agenzia di rating Moody’s ha da poco degradato la nota del debito pubblico dello Stato ebraico, diventato in un colpo solo più costoso. Un conto salato, destinato a salire ulteriormente, perché quella di Gaza è guerra fra le più esose della storia militare israeliana.
Il think tank di analisi Stratfor, in genere molto prudente, ritiene che, se il conflitto durasse oltre le festività pasquali, i pellegrinaggi nei luoghi sacri ne risentirebbero, colpendo ulteriormente l’industria turistica, il cui peso sull’economia nazionale è pari al 2,8% del Pil e al 6% della forza lavoro. Perfino l’export di armamenti calerà: in tempi normali vale il 2% del Pil e il 5% delle esportazioni. Il pensatoio Rand Corporation vede nero: basandosi sullo scenario della seconda intifada (2000-2005), preconizza un impatto da 400 miliardi di dollari e perdite che dureranno per almeno quattro anni. Sarà davvero così? Per ora, la Banca centrale israeliana prevede una crescita del Pil sia nel 2024 (2%) sia nel 2025 (5%), più fiacca però di quanto avrebbe garantito un contesto di pace. Ricorda tuttavia lo storico Claudio Vercelli che «lo Stato ebraico ha sempre superato le guerre con un’economia più forte».
Ha fondamentali solidi, galvanizzati da imprese high-tech molto redditizie e da aiuti statunitensi pari a 3,8 miliardi di dollari l’anno, aumentati di 14,5 miliardi a novembre e di altri 14 miliardi, se mai passerà il disegno di legge in itinere al Congresso. Il vero dramma riguarda Gaza, per la catastrofe umanitaria, psicologica ed economica in cui è precipitata: «l’inferno sulla terra» di cui parla la commissaria generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti ai rifugiati palestinesi. Se Israele non ha problemi a far volare cacciabombardieri da 33mila dollari l’ora e a sganciare ordigni da 22mila dollari l’uno, la guerra ha ben altro costo per Gaza. Gli indicatori analizzati dalla conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo sono drammatici: nel 2023, il portafoglio di ogni abitante della Striscia si è alleggerito del 26%, scendendo a un terzo del valore del 2005 e i quattro quinti delle perdite sono imputabili alle distruzioni posteriori al 7 ottobre. Il reddito pro capite si è ridotto a 929 dollari l’anno e la povertà è cresciuta del 48%. La ricchezza nazionale, già flebile, ha perso altri 655 milioni di dollari (-24%).
Oltre 182mila posti di lavoro sono andati distrutti e, a dicembre, la disoccupazione riguardava già il 79,3% degli individui. Secondo le Nazioni Unite, occorreranno decenni perché la Striscia si riprenda dallo choc dei bombardamenti, tornando ai livelli di welfare, invero non invidiabili, anteriori al 7 ottobre. Servirà però che cresca a doppia cifra e che arrivino molti capitali stranieri, perché Gaza è attualmente un cumulo di rovine: l’80% degli edifici è distrutto o danneggiato e il sistema sanitario è al collasso, complici gli oltre 200 attacchi israeliani a ospedali, cliniche e centri di cura. Le guerre sono solo terrore, morte e mal-affare anche per le economie.