Medio Oriente. Israele: colpiremo i siti militari in Iran
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha avuto ieri un lungo colloquio telefonico con il presidente americano Joe Biden: non si sentivano dal 21 agosto
Non si parlavano dal 21 agosto. Sono rimasti al telefono mezz’ora: Netanyahu, Biden e, questa volta, anche la vicepresidente Harris in corsa per succedergli il 5 novembre. Il suo rivale Trump aveva chiamato il premier israeliano la settimana scorsa, congratulandosi per i risultati ottenuti contro Hezbollah. Al centro della telefonata con Biden, le differenti visioni su modalità e portata dell’attacco israeliano all’Iran, la cui inesorabilità è fuori discussione. Cosa si siano detti è top secret. La Casa Bianca si è limitata a definire la chiamata «diretta e produttiva».
Alla vigilia del colloquio, Netanyahu aveva fermato all’ultimo minuto il suo ministro della Difesa, Gallant, in partenza per Washington dov’era atteso al Pentagono. Sempre martedì sera, il premier ha riunito un consiglio ristretto, con ministri e vertici dell’intelligence e delle forze armate, per definire la risposta all’attacco missilistico iraniano del 1° ottobre, a sua volta rappresaglia per le uccisioni a Beirut del leader di Hezbollah, Nasrallah, e a Teheran del capo politico di Hamas, Haniyeh. Dalla riunione conclusa a tarda notte, dopo cinque ore di discussioni blindate nel quartier generale militare della Kirya a Tel Aviv, sarebbe uscita una linea di compromesso: colpire i siti militari e di intelligence, risparmiando quelli nucleari e petroliferi. Come chiesto da Washington, ma senza farsi dettare la linea. L’attacco sarà «letale, preciso e sorprendente. Non capiranno cosa è successo e come. Vedranno solo il risultato», ha detto Gallant.
Secondo il sito americano Axios, oggi Netanyahu convocherà il gabinetto di sicurezza per dare il via libera. La rappresaglia, hanno detto funzionari al sito, «sarà significativa e comprenderà probabilmente una combinazione di raid aerei contro obiettivi militari in Iran e attacchi sotto copertura, come quello che ha ucciso Haniyeh».
«L’Iran, uno dei principali sponsor del terrorismo mondiale, deve essere fermato prima che sia troppo tardi» proclama su X l’account ufficiale dello Stato ebraico. «Il primo ottobre il regime iraniano ha lanciato circa 200 missili balistici contro Israele – ricorda –. Questo assalto rappresenta una minaccia significativa alla stabilità globale». «Vogliono soggiogare il mondo e riportarlo ai tempi bui» ha tuonato Netanyahu, ricevendo una delegazione della Conferenza dei presidenti delle organizzazioni ebraiche americane. «C'è solo una forza al mondo che ostacola la conquista dell’Iran. E quella forza è Israele. Se non combattiamo, moriamo. Non è solo la nostra lotta, è la lotta del mondo libero e civilizzato».
In Libano altri 40 morti. Razzi uccidono due civili nel nord di Israele
Nell’attesa della mossa «sorprendente » contro l’Iran, si registrano 1.100 raid israeliani sul Libano in dieci giorni. Nel villaggio di Wardaniyeh, a nord-est di Sidone, quattro persone sono rimaste uccise e dieci ferite in un albergo che ospitava sfollati. Nel sud, Hezbollah avrebbe respinto due tentativi di infiltrazione delle truppe.
L’esercito ha ordinato ai civili di spostarsi a nord. Un quarto del territorio è ormai sotto ordine di evacuazione. Il bollettino di Beirut conta 40 morti e 160 feriti in ventiquattr’ore, 2.119 vittime e oltre 10mila feriti in totale.
Anche in Israele si muore. In meno di dieci minuti, sull’Alta Galilea, sulla Galilea occidentale e sul Golan meridionale sono piovuti circa 90 razzi. Una coppia a passeggio è stata ferita mortalmente a Kiryat Shmona, sul confine. Ed è stato trattato come «incidente terroristico» l’accoltellamento di sei passanti (due feriti gravi) a Hadera, nel centro di Israele, da parte di un uomo poi ucciso dalla polizia.
A Gaza evacuati gli ospedali del nord. Raid su Jabalya: 47 morti in cinque giorni
Nella Striscia di Gaza è stato ordinato di evacuare gli ospedali del nord. Secondo fonti sanitarie, dalle macerie del campo profughi di Jabalya, dopo cinque giorni di raid, sono stati recuperati 47 cadaveri. Ai residenti delle aree di Beit Hanoun, Jabalya e Beit Lahia è stato chiesto di spostarsi nella cosiddetta zona umanitaria tra al-Mawasi e Deir al-Balah, già sovraffollata. «Queste evacuazioni di massa forzate – denuncia Medici senza frontiere – stanno trasformando il nord in un’area desolata e invivibile». Il dipartimento di stato americano è «incredibilmente preoccupato per la situazione umanitaria a Gaza» e ha «chiarito a Israele che il diritto internazionale lo obbliga a provvedere a cibo, acqua e altre necessità».
Nell’ultima giornata, secondo il ministero controllato da Hamas, sarebbero stati uccisi 45 palestinesi. Il bilancio di un anno di guerra sarebbe di 42.010 morti e 97.720 feriti. Secondo il Wall Street Journal, che cita funzionari dell’intelligence araba, il leader di Hamas, Yahya Sinwar, avrebbe ordinato la ripresa degli attacchi suicidi in Israele.
Colloqui Hamas-Fatah. Lettera di 130 soldati a Netanyahu
Nel tentativo di raggiungere un’intesa per il dopoguerra, al Cairo sono in corso incontri tra Hamas e Fatah, il partito moderato del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. In Cisgiordania «cinque terroristi ricercati» sono stati uccisi dalle forze israeliane a Nablus.
A un anno di distanza dal “Sabato nero”, un gruppo di soldati ha scritto a Netanyahu per chiedergli di occuparsi dei rapiti. «Se il governo non cambia immediatamente rotta e non si adopera per raggiungere un accordo per riportare a casa gli ostaggi – scrivono in 130 fra regolari e riservisti –, non saremo in grado di continuare a prestare servizio. Per alcuni di noi la linea rossa è già stata superata, per altri si avvicina rapidamente il giorno in cui, con il cuore spezzato, smetteremo di presentarci in servizio».