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Medio Oriente. Israele «blinda» la Cisgiordania. Hamas chiama all’azione i kamikaze

Anna Maria Brogi giovedì 29 agosto 2024

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«Non è la fine di questa storia. Quando finirà? Solo quando saremo in grado di riportare la sicurezza e i residenti nelle loro case. Non sono mere parole né uno slogan: è un obiettivo nazionale della massima importanza». Nel discorso rivolto mercoledì sera dal premier Benjamin Netanyahu ai combattenti della Brigata Golan c’è l’orizzonte temporale di tutte le battaglie che vedono impegnato lo Stato ebraico: dal confronto con Hezbollah libanese alla guerra a Gaza fino all’operazione «antiterrorismo» nel nord della Cisgiordania. In quelle parole c’è anche la risposta – preventiva come i raid di domenica in Libano e di mercoledì a Jenin e Tulkarem – al segretario generale dell’Onu António Guterres che giovedì si è detto «profondamente preoccupato per gli ultimi sviluppi nella Cisgiordania occupata» e ha chiesto «la fine immediata di queste operazioni».

Mentre sono saliti a 18 gli uccisi in due giorni, è confermata la morte del capo a Tulkarem delle Brigate al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica. Mohamed Jaber, alias Abu Shahjaa, era nato nel 1998 nel campo profughi di Nur Shams e aveva conosciuto le prigioni israeliane quando aveva 17 anni. A fine luglio era rimasto ferito dall’ordigno esplosivo che stava per lanciare contro la polizia dell’Autorità nazionale palestinese. Era sfuggito all’arresto uscendo clandestinamente dall’ospedale. Giovedì è stato ucciso con altri quattro a Nur Shams, dove la gente lo chiamava «eroe». Si erano rifugiati in una moschea. Tra i 25 arrestati ci sarebbe un miliziano di alto rango della stessa brigata.

Contro l’operazione israeliana e contro la guerra a Gaza hanno manifestato decine di palestinesi a Ramallah, sede dell’Autorità del presidente Abu Mazen. Ma la voce più potente è stata quella del leader di Hamas all’estero Khaled Meshaal, che da Istanbul ha chiamato a «operazioni suicide»: «Il nemico ha aperto il conflitto su tutti i fronti, cercando tutti noi, che combattiamo o no. Ripeto il mio appello a tutti a partecipare su più fronti alla vera resistenza».

Dovrebbero essere le «minacce dell’Iran e delle sue organizzazioni terroristiche per procura», secondo il ministro degli Esteri Israel Katz, a far capire che «il mondo libero deve sostenere Israele e non agire contro di esso». Il riferimento è alle sanzioni varate dagli Stati Uniti contro i coloni violenti e alla discussione al Consiglio informale dei ministri degli Esteri dell’Ue, giovedì a Bruxelles, su possibili sanzioni ai ministri dell’ultradestra israeliana che lanciano messaggi d’odio e fomentano i coloni. Tel Aviv, afferma Katz, «sta lavorando con gli amici in Europa per impedire l’adozione di risoluzioni contro Israele».

Intanto sui media israeliani filtrano i dettagli della prigionia di Qaid Farhan al-Qadi, il 52enne beduino liberato dall’esercito a Gaza. Sarebbe stato tenuto per 40 giorni in un ospedale di Khan Yunis assieme all’86enne Aryeh Zalmanovich, l’ostaggio più anziano, dichiarato morto a dicembre. «Tra di loro si era creato un legame speciale – ha detto il figlio di Zalmanovich, dopo aver parlato con al-Qadi –. Anche Farhan era ferito ma si è preso cura di papà e lo ha sostenuto. Papà era vecchio e malato, non ha ricevuto farmaci e cure adeguate, è stato ucciso così».

Le autorità hanno fatto sapere che non notificheranno ad al-Qadi l’ordine di demolizione della sua casa. Dallo scorso novembre, il 70% dei residenti del villaggio beduino di Khirbet Karkur, vicino a Rahat, è stato informato che le abitazioni verranno rase al suolo perché costruite senza permesso. Da decenni il governo spinge per il trasferimento dei beduini in comunità fornite di servizi. Ma i leader si oppongono perché non vogliono recidere i legami con la tradizione e con le terre che considerano proprie.