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Per la presidenza. L'Islanda al voto nelle elezioni più combattute

Mauro Mondello, Reykjavik venerdì 31 maggio 2024

Katrin Jakobsdottir si è dimessa in fretta e furia da premier per candidarsi alla presidenza. L'incognita della reazione degli elettori

Quella di sabato 1° giugno sarà, per l’Islanda, l’elezione presidenziale più combattuta degli ultimi 44 anni. Dopo i due mandati di Guðni Jóhannesson, professore universitario in carica dal 2016 e che ha deciso, nella sorpresa generale, di non ripresentarsi, sono infatti scesi in campo ben dodici candidati, un record nella storia della piccola repubblica islandese. Proprio la sua inattesa rinuncia ha spinto Katrin Jakobsdottir a dimettersi in fretta e furia dalla carica di primo ministro per potersi presentare alla corsa presidenziale, una mossa senza precedenti e che ha sollevato diversi dubbi di opportunità: l’istituzione presidenziale, molto simile a quella italiana dal punto di vista formale, è infatti vista dagli islandesi come un simulacro apolitico, che non può e non deve essere scalfito da alcuna ingerenza ideologica.

«Katrin Jakobsdottir ha fatto una scelta molto egoista. Da un certo punto di vista è comprensibile, vuole sfruttare la sua occasione, ma dall’altro ha abbandonato il posto per il quale era stata votata e ha dato una connotazione estremamente politica a tutta l’elezione - racconta Anna Magnusdottir, insegnante di scuola elementare quarantacinquenne, in piscina con i suoi bambini - ha tutte le qualità per essere una buona presidente, io però non la voterò». Jakobsdottir è in testa, secondo i sondaggi. Su di lei grava però il peso di aver lasciato il governo del Paese nelle mani dell’alleato Bjarni Benediktsson, uno degli uomini politici più odiati, coinvolto in numerosissimi scandali, dalle irregolarità nella vendita della banca di Stato Íslandsbanki quando era ministro delle Finanze alla sua implicazione nei Panama Papers. Il suo indice di gradimento fra la popolazione islandese, al 13%, è il più basso nella storia della Repubblica e potrebbe costituire un pesante fardello per Katrin Jakobsdottir, di fatto la responsabile del suo insediamento nel ruolo di premier.

Anche per questo motivo Halla Tomasdottir, imprenditrice impegnata sul fronte dei diritti sociali, 55 anni, e Halla Hrund Logadottir, 43 anni, direttrice generale dell’Autorità islandese per l’energia, la tallonano da molto vicino. Secondo i sondaggi fra le tre, appaiate intorno al 20%, non c’è una distanza statistica sostanziale e per questo la sensazione è che alla fine la battaglia per la presidenza si deciderà all’ultimo voto. Tomasdottir, dopo una partenza lenta, ha recuperato oltre dieci punti percentuali nei sondaggi nell’ultima settimana e il suo trend è in costante ascesa. Aveva già corso per la presidenza nel 2016, conquistando il secondo posto con il 27.6% e oggi è la candidata preferita di quanti, a 18 anni dall’elezione di Vigdís Finnbogadóttir, in carica da 1980 al 1996, vorrebbero tornare a vedere una donna nel palazzo di Bessastaðir, la residenza ufficiale della presidenza islandese, ma che non sono convinti né dell’ex premier Katrin Jakobsdottir, né da Halla Hrund Logadottir, che in poche settimane ha poi dilapidato un vantaggio di oltre dieci punti. Baldur Þórhallsson, professore di scienze politiche, attivista per i diritti civili, è il quarto incomodo. Dietro al terzetto di donne di circa cinque punti percentuali (intorno al 15-16%) diventerebbe, se eletto, il primo presidente al mondo apertamente gay eletto in una consultazione democratica.