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Brexit. Irlanda, il «muro» della Brexit A rischio il processo di pace

Silvia Guzzetti domenica 6 agosto 2017

Un tratto di muro che separa i quartieri cattolici da quelli protestanti a Belfast. I primi metri furono costruiti nel 1969, dopo i «Troubles»

Era un confine militarizzato, con torri di guardia, militari che perlustravano e perquisivano, continui controlli di chi voleva passare – il più delle volte persone che volevano raggiungere solo il resto della famiglia dall’altra parte. Una divisione innaturale, dentro un Paese geograficamente e storicamente unito.

Un muro. Proprio come il muro di Berlino che divideva la Germania. Quando quella ferita finalmente si rimarginò, alla fine degli anni novanta, con l’accordo del Venerdì Santo, la gioia e il senso di liberazione furono le stesse di quando i mattoni che separavano i tedeschi dell’Est da quelli dell’Ovest si sgretolarono sotto le picconate.

Nord Irlanda e Irlanda. Nord Irlanda e Regno Unito. Quanto sangue è stato sprecato e quanta diplomazia impegnata perché si arrivasse a far tacere, finalmente, le armi dei terroristi dell’esercito repubblicano dell’Ira – determinati ad ottenere che quella porzione, a nord dell’isola, che rimane ancora parte del Regno Unito, tornasse a far parte della Repubblica d’Irlanda – e quelle dei loro oppositori unionisti – che chiedevano, e chiedono ancora, che il nord Irlanda rimanga britannico.

Tutto lavoro che rischia di essere sprecato se, in questi tempi di Brexit, quel confine militarizzato verrà ricostruito. Il rischio è che le tensioni che per anni hanno insanguinato le strade di Belfast e anche quelle di Londra tornino ad esplodere. Perché nella lunga strada che ha portato all’accordo del 10 aprile 1998 l’Unione Europea ha avuto un ruolo fondamentale, E da quando la Gran Bretagna ha deciso di uscire dalla Ue, quel confine può essere di nuovo militarizzato, con le torre di vedetta e l’esercito.
Bisogna risalire al 1921, quando le sei contee nordorientali dell’Irlanda restarono con il Regno Unito, per trovare l’origine dei problemi di oggi. Quella regione, dove la maggioranza della popolazione era protestante, rimase “british”, ma cominciarono allora le discriminazioni contro la popolazione cattolica. I protestanti controllavano posti di lavoro e distribuzione delle case popolari, per non parlare delle elezioni se si considera che le circoscrizioni erano disegnate in modo da non permettere a chi era fedele a Roma di vincere le elezioni. Nacque, così, negli anni sessanta, il movimento per la conquista dei diritti civili. E cominciarono gli scontri tra le due comunità. Tra i leader, anche quel John Hume, moderato e pacifista, che sarebbe diventato una delle figure chiave dell’accordo del Venerdi Santo.


È soltanto negli anni novanta che i terroristi, sia cattolici che protestanti, perdono consenso, e il conflitto, grazie anche all’accordo tra Gerry Adams, leader dello “Sinn Fein”, il braccio politico dell’Ira, e John Hume, guida del partito cattolico moderato “Sdlp”, si trasforma da lotta armata in dialogo politico. Alla pace si arriva per passi graduali. Prima la completa cessazione delle operazioni da parte dei terroristi nel 1994. Due anni dopo, il rapporto Mitchell chiede ad entrambe le fazioni l’impegno a perseguire i loro scopi soltanto con mezzi pacifici. Il duro lavoro del primo ministro britannico Tony Blair e di quello irlandese Bertie Ahern dà i suoi frutti. Con il “Good Friday Agreement” viene reintrodotto il Parlamento nordirlandese che avrebbe rispecchiato, nella sua composizione, tutti i maggiori partiti. L’accordo viene approvato, a maggioranza, da entrambe le comunità in nord Irlanda, chiamate ad esprimersi in referendum separati.


La pace, oggi, è in sospeso. E un durissimo colpo alla stabilità faticosamente raggiunta è stato inferto dall’alleanza che la premier Theresa May ha deciso di stringere con il partito protestante Dup, che vuole che l’Irlanda rimanga a fare parte del Regno Unito. Il primo ministro dipende, per sopravvivere politicamente, da una formazione che ha stretti legami con i paramilitari protestanti. Un vero “patto col diavolo” che toglie al governo britannico la possibilità di garantire l’accordo del 1998. Ad avvertire che a Belfast potrebbero tornare le bombe sono stati proprio gli ex premier John Major e Tony Blair, personaggi chiave del processo di pace, in una visita lampo a Belfast. La Brexit, hanno detto, potrebbe essere pagata a caro prezzo se sul confine tra Nord Irlanda e Irlanda tornerà il filo spinato.


I punti di svolta

15 DICEMBRE 1993
I premier Major e Reynolds: l’autodeterminazione
Il premier britannico John Major e quello irlandese Albert Reynolds firmano la Dichiarazione di Downing Street nella quale si affermano i diritti degli abitanti dell’Irlanda all’autodeterminazione e si stabilisce che il Nord Irlanda verrà trasferito alla Repubblica d’Irlanda se la maggioranza della popolazione voterà per questo cambiamento. IL concetto: solo gli irlandesi hanno il diritto di risolvere i problemi tra Nord e Sud.

10 APRILE 1998
L’«Accordo del Venerdì Santo» Potere diviso e stop alle armi
Viene stipulato l’Accordo del Venerdi Santo (Good Friday Agreement). Contiene il progetto di un’Assemblea nordirlandese con un esecutivo che divida il potere tra partiti cattolici e protestanti, istituzioni che mantengano legami sia con Westminster che con Dublino e l’impegno alla consegna delle armi dei terroristi. La Repubblica d’Irlanda abolisce la parte della costituzione dove ai afferma un diritto sul nord Irlanda.

10 DICEMBRE
1998
Hume e Trimble: il Nobel per la costruzione della pace
John Hume, cattolico, leader del partito socialdemocratico laburista (Sdlp) e David Trimble, protestante, leader dell’Ulster Unionist Party, ricevono a Stoccolma il premio Nobel per la pace. A Hume, ex leader del movimento per i diritti civili dei cattolici e parlamentare europeo, viene attribuito il merito di essere il pensatore che ha saputo costruire gli accordi più importanti del processo di pace in Irlanda.

6 APRILE 2005
Gerry Adams chiede all’Ira di entrare nel gioco politico
Gerry Adams, presidente dello “Sinn Fein”, il partito politico che rappresenta l’Ira (Irish Republican Army), chiede ai terroristi di abbandonare definitivamente le armi e di entrare nel gioco politico con mezzi pacifici e democratici. In seguito a questo appello continua un lungo dibattito e una serie di consultazioni interne all’organizzazione. Tre mesi dopo, il governo britannico, per dimostrare il proprio impegno per la pace, rilascia il terrorista Sean Kelly.