Aziz Yaico viveva a Baghdad: poi un
giorno all'uscita dalla Messa nella chiesa dei Santi Pietro e
Paolo, mentre stava riprendendo l'auto al parcheggio, un
kamikaze si è fatto esplodere davanti all'edificio e sua moglie, che lo aspettava lì, è rimasta
uccisa. Ora Aziz è in Europa.Rami Zyiad ha appena vent'anni e
da 19 è profugo, da quando cioè i suoi genitori hanno scelto,
con lui neonato, di scappare in Francia, ad Aubervilliers,
vicino Parigi. "Mai stato in Iraq ma la sento la mia terra", dice il ragazzo, una vita in Europa ma con il sogno
di tornare a casa.E poi c'è Napolyoon: "Ho solo un figlio e se
torno rischio che gli uomini dell'Is lo rapiscano per chiedere
un riscatto, come accade quotidianamente. È una situazione
sempre più difficile". E infatti Shahad racconta che un suo
parente è tra i 160 siriani assiri rapiti ai confini con l'Iraq
e "chiedono ora un riscatto di 160mila euro per ciascuno di
loro".
Trentotto profughi iracheni raccontano la loro storia, quella della fuga da un
Paese dove la vita per i cristiani, "è impossibile".
Parlano in caldeo, l'aramaico che parlava Gesù, e sono in
pellegrinaggio a Roma. Originari della terra che ha visto il
profeta Abramo, fedeli al cristianesimo al punto di lasciare la
propria patria, volevano "pregare a Roma che è il centro della
cristianità". Vengono dalla Francia, che li ha accolti con lo
status di rifugiati, e stamani hanno potuto raccontare le loro
storie in Vaticano, ai cardinali Leonardo Sandri, Prefetto della
Congregazione delle Chiese orientali, e Antonio Maria Vegliò,
presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i
migranti.Ad accompagnarli, alla Pontificia Università Santa
Croce dove incontrano la stampa internazionale, padre Rebwar
Basa, sacerdote caldeo, che da Roma, dove rappresenta il suo
ordine religioso e studia per un dottorato, viaggia spesso verso
Erbil, in Kurdistan, la città in cui hanno trovato rifugio i
cristiani iracheni perseguitati. Ha negli occhi la distruzione
del monastero di San Giorgio a Mosul, "dove sono stato ordinato
sacerdote", e "i container dove vivono tante famiglie con grandi
difficoltà". E non esita a dire che "essere stati buoni nel
dialogo è stata una strategia sbagliata; anche i genitori a
volte con i figli devono essere severi e per noi è venuto il
momento di difendere con decisione i diritti umani". Ha fatto da
guida in questi giorni ai suoi fratelli profughi caldei, diretti
discendenti degli antichi assiri, che domani pregheranno ad
Assisi sulla tomba di san Francesco. E poi rivela il sogno di
tutti i cristiani iracheni: "Che Papa Francesco possa un giorno
andare in Iraq a dare una parola di speranza a tanti fratelli
che soffrono per il solo fatto di non aver voluto perdere la
loro fede in Cristo".