Le ultime esecuzioni in Iraq sono state lunedì scorso: otto persone impiccate, che hanno portato a 23 il numero dei condannati messi a morte in meno di una settimana, nonostante diversi appelli della comunità internazionale per una moratoria. La maggior parte dei 23 impiccati degli ultimi giorni erano stati condannati a morte per reati connessi al terrorismo, secondo quanto reso noto dal ministero della Giustizia di Baghdad. Le esecuzioni dell’ultima settimana portano a 119 il totale dei detenuti messi a morte dall’inizio dell’anno, contro i 68 di tutto il 2011. A gennaio, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti imani, Navi Pillay, aveva definito la situazione «terrificante» e aveva espresso la sua preoccupazione per la mancanza di garanzie legali durante i processi, per le confessioni forzate e il fatto che, una volta entrati nel braccio della morte, non ci sia alcuna possibilità per i condannati di essere graziati. E dire che le esecuzioni erano state sospese dopo la fine al regime di Saddam Hussein. Ma la situazione di instabilità permanente ha poi portato le autorità a ripristinare la messa a morte dei condannati. Secondo il ministro per i Diritti umani, Mohammad Shiyaa al-Sudani, il bilancio aggiornato del periodo post-Saddam è di oltre 70mila uccisi, 15mila scomparsi e 250mila feriti con menomazioni fisiche permanenti. Al-Sudani ha notato che dall’inizio del 2012 gli attentati terroristici sono in ulteriore aumento e ha sottolineato che nel Paese rimane forte la presenza di al-Qaeda. Inoltre, pur in mancanza di cifre ufficiali, diverse fonti ritengono che la metà del milione e mezzo di cristiani che viveva in Iraq sotto il passato regime, sia stata costretta a lasciare il Paese per sfuggire alla minaccia.