Il voto c’è stato. Un fatto positivo perché la grande ondata taleban che avrebbe dovuto bloccare il Paese non è avvenuta», commenta Arduino Paniccia, docente di Studi strategici ed economia internazionale all’Università di Trieste, rientrato da pochi giorni dal confine fra Pakistan e Afghanistan. «Tuttavia – prosegue – non mancano aspetti meno positivi: rispetto alle elezioni del 2004 ha votato almeno un 20% in meno dei cittadini, segnale di una disaffezione verso il governo e l’alleanza. Altro problema è che appena si sono chiuse le urne è iniziato un balletto di dichiarazioni, un aperto contrasto fra Abdullah e Karzai. Dunque alcuni dati positivi, ma pure grosse crepe in questa fragile democrazia afghana».
Professor Paniccia, nel 2004 Karzai vinse al primo turno, per cui un duro confronto fra due candidati è un inedito. Una forte contrapposizione e un ballottaggio che protrarrebbe l’incertezza fino a ottobre non potrebbe minare l’unità nazionale?Un rischio reale. Paradossalmente quello che non sono riusciti a fare i taleban nonostante i 135 attacchi nel giorno del voto potrebbero farlo i candidati. Se la situazione dovesse trascinarsi e se uno dei due candidati non riconoscesse la vittoria dell’altro si aprirebbe una fenditura nella fragile democrazia con il risultato di favorire le forze taleban e tutte le forze che sono contro l’attuale governo. È un inedito, una possibilità sottovalutata fino ai giorni scorsi e che sta a dimostrare che Abdullah non ha nessuna voglia di cedere e che effettivamente il governo Karzai è molto logorato. Credo che le diplomazia di tutti i Paesi che fanno parte di Isaf devono assolutamente intervenire per evitare che la situazione si trascini, evitare che passino dei mesi prima di arrivare a una decisione. Ma prima di tutto va considerato se il numero dei votanti effettivi consente di proclamare un vero vincitore. Questo, al momento, non è chiaro.
Con percentuali di voto ampiamente al di sotto del 50%, gli otto anni di presenza occidentale non si potrebbero risolvere in un fallimento?Nel caso si profilerebbe un fallimento. Che può però essere risolto soltanto da un’alleanza fra Karzai e Abdullah. Il caso pachistano ha in qualche modo creato un precedente: coloro che si combattevano – Yousuf Raza Gilani e Asif Ali Zardari – si sono poi alleati dividendosi in qualche modo i compiti pur continuando a non stimarsi e a combattersi politicamente. Non è un metodo molto democratico, ma va pure considerato che Abdullah pare essere la punta più avanzata verso la trattativa con i taleban e chi lo ha votato ha mandato un segnale di stanchezza verso Karzai, ma ha anche mandato un segnale politico: la trattativa deve continuare e deve rafforzarsi per cercare una soluzione nella mediazione politica.
Tutte ipotesi in attesa di dati certi, ma questo voto del 20 agosto costringerà comunque a rivedere fortemente la strategia della coalizione internazionale o ci saranno più elementi di continuità?Credo che la revisione della strategia sia una strada obbligata: è passato molto tempo e, anche se non c’è stata sul campo una vittoria taleban, i risultati sono deludenti. Questo ci costringe a ripensare una strategia per l’Afghanistan, una intera strategia per la Nato e per tutta l’area. Questo comprende anche la situazione dell’Iraq: è una tenaglia tenuta insieme dallo jihadismo presente al confine tra Pakistan e Afghanistan, che è ancora il grande alleato dei sunniti in Iraq. Anche le strategia vincenti, come quelle del generale Petraeus in Iraq, cominciano a mostrare la corda non appena la prima linea dei soldati americani si ritira. Questo avrebbe inesorabilmente anche in Afghanistan. La ripresa della violenza in Iraq e il premio politico a chi a Kabul parla di una trattativa ci devono indurre a rivedere la strategia altrimenti la tenaglia si stringe. Il rischio sarebbe la vietnamizzazione dell’area e successivamente, logorati senza riuscire a trovare una soluzione, l’abbandono di tutta la regione.