«Portiamo agli ucraini aiuti e la speranza della stabilità»
Il presidente della Croce Rossa italiana, Rosario Valastro
«Sono 375». Dmitry conta i giorni da oltre un anno. Esattamente da quel 7 marzo 2022 quando un ordigno ha sbriciolato il muro portante della sua casa. E l’intera costruzione – una dimora modesta, blocchi di mattoni non intonacati e una lamiera spiovente per tetto – è crollata. In quelle settimane, è toccato ad altre 170 strutture di Andriyuvka e oltre cinquecento hanno riportato danni gravi. In pratica l’intero villaggio – che prima della guerra contava duemila abitanti – è stato distrutto nella prima fase dell’invasione russa. Andriyuvka si trova a ridosso di Chernobyl, non lontano dal confine con la Bielorussia da cui sono entrati i tank di Vladimir Putin. Nonostante ora la zona non sia tra i punti più caldi, la cittadina è rimasta semideserta. I residenti – contadini poveri e senza possibilità di far produrre i campi, ancora minati – non hanno i mezzi per riedificare da soli e sono stati costretti a cercare rifugio nella capitale, distante settanta chilometri. Ora, però, tanti, come Dmitry, potranno tornare. A breve inizierà la realizzazione di ottanta moduli abitativi grazie all’aiuto della Croce Rossa italiana (Cri). Il nuovo presidente dell’organizzazione, Rosario Valastro, in carica da gennaio, partirà la prossima settimana per l’Ucraina per monitorare il progetto che prevede anche la creazione di altre quaranta unità a Zytomyr. «È un segno di rispetto e trasparenza per la generosità di tantissimi connazionali che ci hanno sostenuto», afferma Valastro alla vigilia dell’84esima missione di Cri a Kiev. «Ma per me è la prima», sottolinea il presidente.
Si può già pensare alla ricostruzione mentre il conflitto va avanti?
La prosecuzione della guerra e, perfino, l’attuale recrudescenza non può essere un alibi per non dare un tetto alle persone che l’hanno perso. Purtroppo non sappiamo quando arriverà il cessate il fuoco o la fine del conflitto. Abbiamo il dovere di dare una risposta, però, ora alla popolazione colpita. È quanto vogliono anche i nostri sostenitori. Certo, i moduli per gli sfollati sono allestiti in aree, al momento, meno interessate dai combattimenti.
L’Italia e la comunità internazionale hanno risposto con grande slancio di fronte alla crisi ucraina. A oltre un anno dall’inizio dell’inflazione, la solidarietà sta calando?
Il rischio c’è anche se finora questo non si è verificato. Le emergenze si moltiplicano nel pianeta. Per noi, però, è importante non spegnere i riflettori sulla crisi ucraina perché la guerra va avanti e le sofferenze della popolazione si fanno sempre maggiori. Questo conflitto, oltretutto, ha rimesso in discussione principi su cui si è costruito il diritto internazionale umanitario che vieta di attaccare i civili, le strutture sanitarie, di attuare corridoi umanitari per far evacuare le persone. Troppo spesso questo non è accaduto e rappresenta un grave danno per tutti, non solo per i coinvolti. Se può accadere là, può accadere ovunque. Il nostro aiuto vuole difendere la dignità umana ovunque sia ferita.
Quali sono le principali necessità degli ucraini?
La mancanza di farmaci e di alloggi per gli sfollati, provenienti sopratttutto dal Donbass al centro degli scontri.
Che tipo di lavoro fa la Croce Rossa italiana?
Il nostro lavoro consiste nel sostenere la Croce rossa ucraina, incaricata direttamente di lavorare sul campo. Lo facciamo mettendo a disposizione il nostro personale perché contribuisca al coordinamento e con la strutturazione di una sala operativa nazionale. Abbiamo anche un progetto di squadre di soccorso di emergenza, in collaborazione con la Protezione civile ucraina. Per far fronte alla crisi sanitaria, è stato sviluppato un sistema di cliniche mobili nelle province di Vinnytsia e Zhytomyr. E abbiamo portato in Italia 245 persone in condizione di particolare fragilità, in particolare anziani e disabili. Tutto questo grazie all’aiuto dei cittadini che speriamo continui.