«Quando esco di casa non so cosa potrebbe succedermi. So di essere un obiettivo. Boko Haram sarebbe molto felice di colpire un leader della Chiesa. Gli farebbe una grande pubblicità. Ma dobbiamo essere pronti a tutto e non avere paura. La paura non deve togliere la fede». Monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, è molto realista e al contempo fiducioso. Non si nasconde i problemi che la Chiesa della Nigeria, e la sua diocesi in particolare, sono costretti ad affrontare, in particolare in seguito alla crisi scatenata dal gruppo terrorista Boko Haram nelle regioni del nord. Ma lui, così come i cristiani della Nigeria, continua a vivere e a testimoniare la fede con grande coraggio e vivacità.Nel cortile della Bishop’s House di Jos, il vescovo è circondato da un nugolo di bambini festosi e urlanti:
«His grace! His grace!» (eccellenza, eccellenza!), si divertono ad attirare la sua attenzione. Lui sorride e ammette: «Non posso dire che i cristiani di questa zona siano perseguitati. Certo subiscono violenze e a volte, soprattutto i giovani, contrattaccano. La rabbia è comprensibile, anche la frustrazione. Ma la violenza e la vendetta no. Alla base, però, non è una questione religiosa. Continuo a ripeterlo, ma alcuni non vogliono sentire. È più facile insistere sull’elemento religioso perché rappresenta un forte marchio identitario. Ma questo non fa che nascondere i veri problemi che ci sono dietro». E quali sono? «Politici ed economici, etnici e legati al possesso della terra. Gli uni intrecciati con gli altri. E Boko Haram è solo un elemento della crisi. Quando sono loro ad attaccare è chiaro. Ma il quadro generale è molto più complesso e non aiuta ridurlo in termini di lotta tra cristiani e musulmani».Anche per questo che lo scorso febbraio ha inaugurato il Centro per la pace a Jos. «È un tentativo per affrontare insieme i diversi aspetti del conflitto. Non vogliamo occuparci solo di tematiche religiose o di dialogo islamo-cristiano. L’obiettivo è creare uno spazio per affrontare tutte le forme di conflitto – economico, politico, sociale, giovanile – coinvolgendo le diverse comunità religiose, ma anche espressioni della società civile locale e internazionale». Nelle ultime settimane si è parlato molto di amnistia per i membri di Boko Haram. «Non sono contrario in assoluto – risponde Kaigama – ma credo che ci debbano essere delle pre-condizioni. Ad esempio, che la chiedano loro stessi, e non i leader musulmani del nord come è stato fatto; e che mostrino almeno un po’ di pentimento. Inoltre, penso che l’amnistia debba essere bilanciata dalla giustizia per le vittime. Che cosa è stato fatto per loro? Chi le ha aiutate? Noi, come Chiesa, abbiamo cercato di fare quello che potevamo, ma la gente si aspettava molto di più dalle istituzioni.»